Sembra che i lavori di Luca Ragazzi e Gustav Hofer traggano la loro immediatezza linguistica da una certa contingenza, una urgenza sociale e sociologica principalmente nazionale, ma che allunga le sue ramificazioni speculative oltre confini prettamente peninsulari. Già premiati con il loro lungometraggio d’esordio Improvvisamente l’estate scorsa, documentario del 2007 che, in pieno dibattito pubblico e politico sul dis(d)egno di legge DICO (ovvero il riconoscimento delle unioni di fatto), svela una - a dir la verità - malcelata e pregiudicante coscienza omofobica, sintomo sospetto di una ctonia e più generale eterofobia latente. Nel 2011, in un’Italia squassata da un’amarissima recessione economica e insanabili discrasie, i due registi, guidati dalla loro distinta e acuta vis comunicativa, si imbarcano in un viaggio tra controversie e paradossi, contraddizioni e disfunzioni tutte nostrane.
A fronte della lettera di sfratto del padrone di casa, Luca e Gustav si preparano a lasciare l’appartamento e prepararsi a un trasloco. Ma mentre il primo, capitolino di nascita, pensa a un’altra sistemazione pur sempre entro i confini romani, Gustav, di origini alto atesine e madrelingua tedesca, prende in considerazione l’idea di andare a vivere a Berlino, corroborando le scelte degli amici che, stanchi di un paese in balìa di se stesso, si sono trasferiti all’estero. I due giungono a un compromesso: sei mesi di tempo per decidere, durante i quali affronteranno un viaggio per conoscere l’Italia e capire se è rimasto ancora qualcosa per cui valga la pena di restare.
Il tortuoso percorso dei due trentenni sotto sfratto, comincia con una disillusa demistificazione dei miti e delle icone tricolori attraverso un’analisi pungente, caustica e icastica dello stato attuale delle cose. E l’Italia di oggi è una nazione che assiste inerte al declino di quelli che erano marchi di fierezza - tra le precarie condizioni degli operai in cassa integrazione della Fiat e la chiusura dell’ultima fabbrica della Bialetti - e la nascita di nuovi e più inquietanti tratti peculiari. Un paese che eleva Rosarno a città simbolo dello sfruttamento degli immigrati negli agrumeti, Giarre a capitale della speculazione edilizia – con il suo festival dell’incompiuto siciliano -, che elegge pornocrazia e malcostume a nuovi topoi distintivi di un sistema politico raggrinzito e logoro, che non offre garanzie né opportunità ai giovani in cerca di un lavoro, di una sistemazione, di un proprio futuro. A bordo di una 500 – simbolo del boom economico del secondo dopoguerra – che, con i suoi vivaci cambiamenti cromatici (dal rosso al giallo, infine al bianco e all’azzurro), diventa amuleto di un’auspicata reazione ai tempi bui prospicenti, la coppia di documentaristi cerca, con ironia ma non senza una certa dose di disinganno, dei buoni motivi per restare a lottare per una nazione profondamente minata da piaghe - almeno all'apparenza - incurabili. Le voci illustri di Vendola e Camilleri, oltre alla toccante testimonianza dell’imprenditore siciliano Ignazio Cutrò, emarginato per aver denunciato la mafia, forniscono una speranza, ma non sopiscono dubbi dalle radici troppo profonde. Italy: Love It or Leave It non è una risposta all’annoso aut aut della contemporaneità , quanto piuttosto la controversa e amara consapevolezza di una connivenza di sentimenti e intenti che contraddistingue uno dei momenti più difficili della nostra storia recente.