Il vigliacco omicidio di Cyrus, promotore del pacifico raduno delle bande giovanili di New York, viene fatto ricadere sull'innocente Fox: membro della gang Warriors. A questi ultimi non resta che la fuga per evitare la ritorsione. Ma la sicura Coney Island dista numerose fermate di metropolitana dal Bronx. Basterebbero due film per comprendere quanto immensa e irripetibile sia stata una cospicua fetta degli anni '70 americani: Distretto 13: le brigate della morte di John Carpenter e I guerrieri della notte di Walter Hill. Della forzatura non ce ne vogliano i puristi, della nostalgia non ci rimproveri nessuno: quello si che era cinema, vero, reale, umano, da toccare con mano. Qualità rare che, tanto per restare in ambito tematico e cronologico, nemmeno l'intoccabile Arancia meccanica ha mai posseduto. Carpenter e Hill, due monumenti a confronto: più tradizionale il primo (già alle prese con la prima di infinite varianti intorno al tema dell'assedio al fortino, mai omaggio fu meno nascosto all'Hawks di Un dollaro d'onore), latentemente più acculturato e proiettato in una dimensione futura il secondo, quasi avesse dinanzi la convinzione di voler essere già negli anni '80; entrambi comunque legati da una sorta di exploitation sotterranea, votata a tramutare in fiction d'intrattenimento la piaga tutta a stelle e strisce del fenomeno riconducibile alla criminalità professata come stile di vita dalle bande giovanili. Pur nutrendosi di un'ispirazione letteraria dalle origini estremamente classiche e alte (la pellicola è tratta dall'omonimo romanzo di Sol Yurick, a sua volta strutturato sulla metaforica rilettura dell'Anabasi di Senofonte), The Warriors viene concepito da Hill come un vero e proprio videogioco, dove Coney Island è l'obiettivo da raggiungere non prima che i giocatori siano passati per diversi e crescenti livelli di difficoltà, da superare attraverso la sconfitta del nemico di turno: il cui tasso di pericolosità, naturalmente, aumenta di step in step. La struttura imposta dal regista/sceneggiatore si dimostra solidissima e funzionale, in quanto capace di ricreare sul grande schermo un perfetto contrappeso tra realismo indotto e spruzzate “proppiane”, senza dimenticare un fondamentale crescendo fumettistico, variante quest'ultima tirata a lucido dalla suddivisione in colori delle diverse fazioni in gioco/campo: un elemento, quest'ultimo, invero dalla chiara matrice metropolitana (ogni banda possiede da sempre i propri segni di riconoscimento: colori, divise e territori di competenza da dominare e proteggere dall'invasione rivale), qui riletto e riadattato su di uno scheletro che trasforma lo schermo in consolle e la macchina da presa in joystick passivo, comando remoto attraverso il quale guidare le percezioni dello spettatore. L'intento, neanche a dirlo, è di ricreare un'originale caccia all'uomo, dove i Warriors si palesano fin da subito come prede incolpevoli ma di fatto costrette alla corsa salvifica e il resto delle bande di New York come cacciatori assetati di vendetta. The Warriors si nutre di sequenze memorabili (le adrenaliniche fughe in metropolitana, la colluttazione con i Baseball Furies, la bottiglia incendiaria che allontana gli Orphans o, per concludere, la poetica chiosa sulla spiaggia all'alba), pur restando comunque un gioco di sopravvivenza: dove la morte e la cattura sono variabili da game over da mettere in conto appena prima di pigiare play, così come la liberatrice e orgogliosa sensazione di avercela, finalmente fatta.