Il furto di una canoa agli indiani Cajun, trasforma quella che doveva essere una tranquilla esercitazione di 9 soldati della Guardia Nazionale in una disperata lotta di sopravvivenza. Leggi Southern Comfort e pensi immediatamente al celebre liquore statunitense, parente dolce dello scotch, bevanda amatissima dai cantanti country e amante fisso di Janis Joplin, in quanto ritenuto un toccasana per le corde vocali (almeno così vuole la leggenda). Ma la marca in questione è anche il titolo di una delle pellicole meglio riuscite di Walter Hill, da noi tradotta con il fantasioso ma non del tutto inappropriato I guerrieri della palude silenziosa, che nella filmografia del regista succede a I cavalieri dalle lunghe ombre ponendosi, a partire dalla striminzita trama, come chiusura di un cerchio aperto appena due anni prima da The Warriors. Ebbene, Southern Comfort è uno dei migliori Hill di sempre: diretto, efficace, asciutto, ispirato, sottile, spietato, drammatico, quasi “peckinpahiano” nel tratteggio dei personaggi, delle metafore e del montaggio: forte di un finale da far drizzare i capelli e procurare la pelle d'oca per l'emozione. Rispetto alla pellicola del 1979 cambiano l'ambientazione e quindi l'ordine dei fattori, mentre a rimanere invariato è il risultato ultimo che sfiora la perfezione. Southern Comfort è cinema al cubo, che respira dei propri spazi, facendo suo l'umido della palude, il ronzio delle zanzare, il silenzio rotto dai rumori naturali e dalle amenità prima e dalle grida poi, dei suoi protagonisti. Se I guerrieri della notte puzzava di teppismo da strada, I guerrieri della palude silenziosa appiccica sugli occhi dello spettatore un po' della profonda Louisiana: percorrendo sicuro la medesima, metaforica strada intrapresa nel 1972 da John Boorman con Deliverance (alias Un tranquillo weekend di paura). Uomo contro natura, individuo socializzato opposto all'ultimo avamposto umano dell'entroterra, futuro corrente avverso alla tradizione rurale e viceversa. Ancora una volta il cinema di Walter Hill torna a configurarsi come attraversamento verticale di uno spazio costellato da ostacoli caratterizzati da un tasso crescente di pericolosità e rischio, l'arte raffigurativa e ipertestuale viene affinata e il fumettistico videogioco The Warriors, dalla connotazione cittadina e exploitation, cede il testimone ad uno sparatutto esistenziale e naturalista, all'interno del quale il genio risiede dove meno te lo aspetti: soldati riservisti armati si, ma di fucili a salve, potenziali cacciatori resi però innocui dall'impotenza della protesi non più in gradi di colpo ferire, ma solo di provocare paura e reazioni. Rispetto a I guerrieri della notte il compito empatico commissionato a chi guarda è decisamente più arduo: da che parte stare? Meglio gli indiani Cajun o i trogloditi in divisa? Identica invece resta la struttura, così come la base concettuale: un gioco di morte, le cui regole sono quelle chiare e semplici della caccia all'uomo, ancora una volta in debito con l'Anabasi di Senofonte: le prede in fuga verso casa, i cacciatori ad annusarne le traccie durante l'inseguimento. Southern Comfort rappresenta il cult in grado di fare la storia, modello da tenere a riferimento, perché forte di una formula d'attualità immortale, in grado di replicarsi tanto nel britannico Dog Soldiers, quanto nell'italiano At the end of the day. Detto fuori dai denti, uno dei migliori “action” di sempre.