
In un piccolo villaggio sperduto entro i confini del Libano, un gruppo di donne coraggiose decide di far fronte all’orrore dovuto ai problemi interreligiosi tra cristiani e musulmani. Una guerra crudele e, molto probabilmente, inutile, spinge Amale (Nadine Labaki), Takla (Claude Msawbaa), Afaf (Leyla Fouad) e Saydeh (Antoinette El-Noufaily) a prendere in mano la situazione, contrastando la violenza degli uomini con la potenza della seduzione femminile. Basterebbe la scena iniziale per fare di E ora dove andiamo? un film assolutamente imperdibile. Una processione di donne vestite in nero, che stringono tra le dita foto di amori e parenti perduti per sempre per via delle rivolte religiose che scuotono il loro mondo, spezza la monocromaticità ocra dell’ambiente circostante. Con il nero, simbolo del loro lutto, queste donne sono in realtà una macchia ben distinta di colore, una particella di caos in un mondo che, al contrario, le vorrebbe silenziose e sottomesse. Nadine Labaki mostra, ancora una volta, di riuscire a raccontare la realtà di situazioni sociali e culturali senza bisogno di ricorrere a facili pietismi o cliché iconografici scontati e ormai troppo inflazionati. Chi si aspettava di vedere l’ennesimo esempio di donna orientale costretta da un velo e da una religione che ne mortifica la dignità rimarrà deluso: le donne protagoniste sono delle combattenti che usano le armi a disposizione per tentare di portare la pace in una realtà troppo spesso dilaniata dalla violenza figlia di differenti stili di vita. Il confine tra cristianesimo e islamismo viene abbattuto, dalla regista di Caramel, grazie al sogno utopistico di una pace effimera, portata dalla bellezza delle donne. Il paradosso – e insieme la forza – di questa pellicola sta proprio nella scelta di rendere il sesso femminile consapevole del proprio corpo, che non viene più umiliato dagli uomini, né mercificato dagli stessi. Sono le donne le vere artefici del loro destino che trasformano la propria fisicità in uno stratagemma per arrivare all’obiettivo che si sono prefissate e che corrisponde alla fine delle ostilità . Quasi come se stessero mettendo in scena il vecchio monito «fate l’amore, non fare la guerra», le protagoniste della Labaki tentano di mettere fine all’orrore con l’amore che gli uomini provano verso il gentil sesso. Consapevoli di tutto ciò, non si vergognano di mostrare la loro carne, né si fanno problemi a chiamare ballerine dell’est che possano mostrare ancora di più. La loro anima è tutta tesa alla costruzione di un mondo in cui nessun’altra donna dovrà marciare verso un cimitero a piangere la dipartita di una persona cara. I loro sforzi congiunti riescono laddove guerra e violenza falliscono: non a caso, la Labaki fa dire ad uno dei suoi personaggi maschili «Imam, perdona loro perché non sanno quello che fanno», miscelando una figura simbolica dell’Islam con la frase che Cristo pronuncia sulla Croce, riunendo così islamismo e cristianesimo senza alcun espediente forzato. Con uno stile che miscela diversi generi – si passa dal dramma al musical – E ora dove andiamo? si fa forte di un cast semisconosciuto, riuscendo, seppur con la sua aurea di commedia divertente, a trattare temi forti e attuali, senza però servirsi di artificiosi sentimentalismi. Proprio come aveva fatto in Caramel, Nadine Labaki sceglie di raccontare la sua realtà attraverso gli occhi spregiudicati di donne che non rinunciano alla propria individualità e che hanno il coraggio di inseguire i propri sogni. Nell’universo diegetico creato dalla regista libanese l’orrore viene sempre sconfitto da una forza più prorompente, più positiva, che riesce a portare il sorriso anche in situazioni al limite della disperazione. Gli spettatori meno attenti si divertiranno nel seguire le avventure di questo gruppo di donne che mandano nel caos gli ormoni degli uomini. Quelli più attenti riconosceranno in E ora dove andiamo? un’opera che rasenta la perfezione.