Varie storie – tre principali, altre più brevi – che parodizzano grandi successi commerciali come Il Codice Da Vinci, Uomini che odiano le donne, Zorro, Avatar, Harry Potter, Twilight e altri ancora. Non mi sarei mai immaginato di rivalutare Il silenzio dei prosciutti (il che è tutto dire), ma di fronte a Box Office 3D è quasi inevitabile ripensare proprio a quel film di Ezio Greggio. Almeno si trattava di una parodia coerente con il suo tempo, pur con tutti i limiti di un umorismo puerile e debolissimo. Ma non stavolta; stavolta emerge l'impressione - vivissima - di assistere a un film nato vecchio. Scandito da episodi autoconclusivi (e già questa è una struttura piuttosto datata), Box Office 3D non fa che ripercorrere superficialmente storie e cliché di blockbuster più o meno recenti, contaminandoli con l'agghiacciante umorismo dei famigerati cinepanettoni, e non è certo un caso che alcuni sceneggiatori (Fausto Brizzi, Marco Martani) siano gli stessi. Ne risulta così una grande farsa nazionalpopolare, che si affanna ad ammassare spunti e riferimenti di bassa (in)cultura per offrire al pubblico qualcosa di riconoscibile: personaggi televisivi, citazioni calcistiche, allusioni di stampo politico, tutto all'insegna di un qualunquismo esasperato e che francamente ha pure il difetto di non strappare la minima risata. È un umorismo da bar, innocuo come un buffetto sulla guancia dei potenti, iperpompato da una produzione che gioca tutto sul 3D (intangibile) e sugli effetti visivi generati al computer, per simulare ambienti e fenomeni di vario genere che sullo schermo appaiono inevitabilmente, ma consapevolmente, finti. In effetti Ezio Greggio - e questo è l'aspetto che più infastidisce, forse più della comicità stucchevole e populista - cerca d'inserire persino un discorso metacinematografico, per quanto assurdo possa sembrare. Non è una novità nell'ambito delle parodie - già Mel Brooks lo ha fatto più volte, con risultati ben diversi - ma in questo caso appare ovviamente forzato, pretestuoso, oltre che superficiale: rompere la finzione cinematografica con gag e battutine, commentando ciò che succede come farebbe uno spettatore, forse serve a dimostrare una certa complicità con il pubblico ma, al contempo, rivela una semplicità concettuale e una piattezza espressiva quantomeno irritanti. Resta da chiedersi, senza malizia, cosa ci faccia un film del genere alla preapertura della Mostra del Cinema di Venezia. La domanda è legittima.