Per la maggior parte dei cinefili (e più ancora dei nerd), la cittadina di Barrow è famosa per aver fatto da scenario a 30 giorni di buio, la graphic novel trasposta al cinema da David Slade. Un piccolo paese al punto più a Nord dell’emisfero, dove la notte può durare decisamente a lungo. Ma Barrow è anche la cittadina che, sul finire degli anni Ottanta, riuscì a smuovere le coscienze di mezzo mondo grazie alla tragica e commovente vicenda di tre balene incastrate sotto il ghiaccio polare. Adam Carlson (John Krasinski) è un cronista arroccato a Barrow che non vede l’ora di abbandonare il freddo artico per intraprendere altre opportunità di lavoro. Alla disperata ricerca di materiale per un servizio, Adam si imbatte in tre enormi cetacei grigi, intrappolati sotto il ghiaccio e quindi impossibilitati a raggiungere l’oceano aperto. La storia delle tre balene grigie attira ben presto l’attenzione mondiale, spingendo Rachel (Drew Barrymore), una volontaria di Greenpeace ed ex fidanzata di Adam, a partire per il profondo Nord, insieme ad una moltitudine di giornalisti, tra cui anche l’ambiziosa Jill (Kristen Bell). Pochi secondi di buio e poi la scritta “tratto da una storia vera”: sembra quasi che Ken Kwapis (che aveva già diretto la Barrymore nel bel La verità è che non gli piaci abbastanza) senta il bisogno di mettere subito le carte in tavola, costringendo lo spettatore a commuoversi per una storia che è successa davvero. La storia delle tre balene – Fred, Wilma e Bam-Bam – è stata, nel 1988, una vera e propria giostra mass-mediatica, che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di persone. Il film cerca di ricreare questo senso di attesa e di tensione, basandosi anche sul libro Freeing the Whales, del giornalista Thomas Rose, all’epoca cronista d’assalto che riuscì a seguire tutta la vicenda. Eppure, nonostante le premesse iniziali, il film di Kwapis è un film che di straordinario ha veramente poco. Eccezion fatta per alcune scene subacquee e di contesto ambientale, Big Miracle si adagia su una narrazione piatta e quasi incolore, che non permette allo spettatore di entrare veramente dentro la storia. La completa mancanza del tradizionale antagonista senza scrupoli – anche il superbad della situazione è abbastanza edulcorato – e la presenza di situazioni stereotipate vanno ad aggiungersi ad una sceneggiatura riempita di frasi fatte e di sicuro impatto che, tuttavia, alla lunga annoiano e indispettiscono.