Steven Spielberg torna dietro la macchina da presa per dirigere War Horse, adattamento per il grande schermo del romanzo di Michael Morpurgo, già felicemente trasposto in spettacolo teatrale da Nick Stafford. Protagonista della storia è Joey, cavallo di razza dal temperamento indomito, che viene acquistato da un povero agricoltore (Peter Mullan) a dispetto di condizioni economiche tutt'altro che agiate. Il cavallo fa però la felicità di Albert (Jeremy Irvine), che riesce a domarlo e a conquistarne l'affetto, dando vita ad un'amicizia sincera e così profonda da resistere a qualsiasi avversità . Il destino deciderà infatti di dividere i due allo scoppio della prima guerra mondiale, portandoli entrambi sul fronte, ma su strade diverse. Nel corso dei lunghi anni di guerra Joey vivrà mille difficoltà e passerà spesso di mano, conquistando con le sue qualità personaggi di diversa nazionalità ed estrazione sociale, tutti accomunati da un'umanità che nel contesto della guerra sembra essere diventata un bene molto raro... Le premesse poste dalla storia sono quelle classiche di un film che fa leva sull'empatia nei confronti dei protagonisti e sulla positività dei messaggi e delle emozioni che il racconto trasmette. Spielberg traduce tali premesse in un film che, a dispetto di una grande qualità tecnica e di un grande lavoro di ricostruzione dei contesti (in particolare quelli drammatici della trincea, che caratterizzarono la Grande Guerra), non si eleva in modo particolare e non raggiunge quei picchi di emozione che il grande regista ha dimostrato di saper toccare. Per quanto alcuni momenti siano effettivamente coinvolgenti e gli addestratori siano stati bravissimi nel guidare gli ottimi interpreti a quattro zampe in performance davvero di alto livello, il film risulta esageratamente scontato e a tratti inaspettatamente noioso. È un insieme di concause a generare questo inatteso esito: in primis, una costante sensazione di deja-vu dovuta all'utilizzo di meccanismi e situazioni comuni a molti altri film, che condensate in un unica pellicola non si esaltano l'un l'altro quanto piuttosto tendono ad elidersi; la caratterizzazione dei personaggi umani è quasi monodimensionale, così che ci troviamo di fronte ad una serie di stereotipi troppo evidenti per non risultare in qualche modo inautentici: gli attori stanno recitando, e purtroppo è facile rendersene conto, in particolare rispetto ad Irvine, alla sua prima esperienza ed evidentemente ancora acerbo. Nella versione italiana questi limiti sono poi esasperati da un  doppiaggio criminoso, che non lesina ridicoli accenti, ora tedeschi, ora francesi, a sottolineare provenienze che sarebbero state perfettamente comprensibili anche senza un così frivolo espediente. Spielberg risolleva le sorti del film nelle scene in cui racconta il fronte, alcune delle quali oggettivamente inappuntabili, ma comunque lontane dal pathos e dalla tensione drammatica di Salvate il soldato Ryan. Questo perché War Horse è un film per famiglie, e purtroppo il regista ha voluto dare una lettura estremamente stringente di tale categorizzazione, riducendo al minimo ed edulcorando a suon di omissioni tutti gli aspetti potenzialmente scabrosi. Ne deriva un film che un pubblico infantile sicuramente apprezzerà , trovandovi tanti buoni sentimenti e una profonda storia di amicizia, ma se si cerca intensità di recitazione e sussulti emotivi, nella filmografia di Spielberg si può trovare molto di meglio.