Roma, caput mundi. Al centro del mondo per bellezza e magnificenza, la capitale italiana viene raccontata dal regista salernitano Alessandro Piva con uno sguardo noir e sporco. Se già Michele Placido aveva “svelato” le nefandezze di cui l'urbe capitolina si macchia, focalizzandosi sugli orrori di quella banda della Magliana posta al centro di Romanzo Criminale, Piva decide di prendere il romanzo di Giovanni Mastrangelo e usarlo come spunto iniziale per narrare il sottobosco di una Roma dedita alla droga, al narcotraffico e a quella mafia che si fa a spallate per dominare un commercio sempre più proficuo. Sul sito personale di Alessandro Piva la scritta “Chi cazzo è Henry?” sovrasta lo schermo, catturando immediatamente lo sguardo dell’internauta. Alla stessa domanda deve rispondere, suo malgrado, Nina, un insegnante di aerobica in piena relazione turbolenta con il tossicodipendente Gianni. Rocco, loro vicino di casa, subisce il danno emotivo della morte di Spillo, suo pusher e amico. Sulla morte di quest'ultimo, indaga il poliziotto Silvestri che ben presto, proprio come tutti gli altri personaggi, si troverà nel mezzo di una faida illegale per il possesso di droga, tra la mafia e la banda degli africani. La ricerca pulp da parte di Piva è evidente in un film come Henry, dove le brutture di una realtà in degrado sono filtrate da un umorismo di fondo che, seppur molto ispirato in alcune scene, rischia di far scivolare tutta la diegesi nel regno del kitsch. Al suo terzo lungometraggio, dopo LaCapaGira e Mio Cognato, Piva descrive un mondo oscuro, pieno di ombre, dove si muovono – più o meno consapevolmente – tutte le anime dannate la cui esistenza ruota intorno a “Henry” - nome in codice usato dagli africani per indicare l’eroina. Il ritmo incalzante che caratterizza le indagini e le vicende di Nina rallentano bruscamente in momenti decisamente più riflessivi, dove i vari personaggi si rivolgono direttamente in macchina, presentando se stessi come soggetti autonomi. Sebbene l’idea sia originale, e visivamente accattivante, la sensazione che se ne riceve è che il regista senta il bisogno di far parlare i propri personaggi, di far loro spiegare in luogo di una sceneggiatura che non riesce a farli emergere attraverso l’azione. Film corale di droga e disperazione, Henry ha il limite di avere troppa carne al fuoco. I personaggi si sovrappongono e – nonostante la breve durata della pellicola – riescono a perdersi, a finire nel dimenticatoio senza spiegazioni o approfondimenti. Oltre allo straordinario Paolo Sassanelli, il film si arricchisce di un cast di alto livello, dove figurano Michele Riondino, Pietro De Silva e Claudio Gioè. Carolina Crescentini, appena sottotono, interpreta Nina, senza tuttavia riuscire a dare al suo personaggio quello slancio necessario a creare empatia con uno spettatore che, a parte apprezzare la buona realizzazione tecnica, non riesce ad entrare del tutto nella narrazione.