Frankie Dunn (Clint Eastwood), anziano proprietario di una piccola palestra, decide, dopo aver rifiutato varie volte, di allenare Maggie Fitzgerald (Hilary Swank), una ragazza che ha nella boxe l’unico scopo della sua vita. Entrambi hanno una famiglia assente o insensibile ai loro sentimenti e ciò rafforza il loro legame. Maggie si rivela subito un talento nato e, dopo vari incontri superati con sorprendente successo, lotterà per il titolo mondiale. È uno dei migliori film di Clint Eastwood, regista che si contraddistingue per l’uso di uno stile classico, lineare nella scrittura e trasparente nell’etica. Tragico e spietato nel suo irrimediabile pessimismo, è un film sul dolore umano, sulla libertà di vivere (e di morire). La sceneggiatura di Paul Haggis, tratta da un racconto di F.X. Toole, mostra un particolare affetto per i personaggi, persone segnate dal destino a portare il peso di una sconfitta perenne, sperdute tra il nulla e l’addio. Vi sono nei gesti, negli sguardi, nei dialoghi spezzati di questo dramma, una grazia ed un tatto che solo un saggio può avere. Eastwood conferma di esserlo, trattando la materia con uno sguardo lucido e disincantato. Frankie non trova le risposte nella religione di un Dio che non parla e di cui non capisce le regole e i principi; di fronte ad un prete che cerca di spiegargli la Trinità domanda “Vuole dire una specie di pane, burro e marmellata infilati nel medesimo sacchetto?”. L’amore e l’amicizia di Maggie per lui sono la risposta. Nel riceverle, almeno per un momento, dimentica l’amarezza della vita e assapora la felicità. Definito dalla voce narrante di Eddie (Morgan Freeman) uno sport “contro natura”, la boxe diventa metafora della vita e delle sue contraddizioni. L’ombra di un presagio attraversa tutto il film, come se l’amicizia, l’amore, la vittoria fossero solo dei fantasmi che sfilano nel tunnel dell’illusione. Frankie dice che nella boxe, così come nella vita, il segreto è proteggersi sempre, a volte anche indietreggiando. Ma se si arretra troppo, non si vince più. Il laico finale è una sintesi dell’ideologia del cinema di Eastwood. Interpretato ottimamente dai protagonisti ma anche dai personaggi di contorno. Vincitore di 4 premi Oscar: film, regia, Freeman come miglior attore non protagonista e la straordinaria Hilary Swank come attrice protagonista.