Nuova commedia per Adam Sandler, gallina dalle uova d’oro del cinema disimpegnato made in USA. Diretto da Dennis Dugan, una sicurezza in questo genere di film (si vedano i recenti Mia moglie per finta e Un weekend da bamboccioni), Sandler si cimenta, come tanti suoi predecessori, nell’interpretazione del doppio personaggio: è Jack, pubblicitario di grande successo a Hollywood, ma è anche Jill, la sua spiantata, fastidiosa, caotica sorella gemella. La vita perfetta di Jack con la sua villa da star, la bella moglie Erin (Katie Holmes) e i figli, viene sconvolta annualmente dalla visita per la Festa del Ringraziamento della sua gemella Jill: zitella e senza lavoro, ha passato tutta la vita ad accudire gli anziani genitori. Il suo spirito perennemente fanciullesco, le sue frasi puntualmente fuori posto, la sua terribile pedanteria sono per Jack una sorta di incubo. La visita di Jill getta Jack nello sconforto e porta i due a litigare come sempre: lui vorrebbe che lei se ne andasse il prima possibile ma all’improvviso scopre che la gemella è l’unica carta valida per fargli conservare un importante contratto di lavoro. Il suo miglior cliente, la Donkin Donuts, vuole far pubblicizzare il suo nuovo prodotto - inzuppaccino - niente meno che ad Al Pacino: il leggendario “Scarface” è andato totalmente fuori di testa e sembra attratto da Jill, che diventa l’unico appiglio per conservare il contratto pubblicitario. Solito copione di grana grossa, che nasconde uno sfondo di buoni sentimenti (Jack scoprirà gradualmente l'affetto che lo lega a Jill) sotto una fitta coltre di exploit scatologici, cascate di sudore, scambi di persona e humor politically uncorrect su donne, ebrei e messicani. Adam Sandler gestisce più che bene il doppio ruolo e in alcune scene diventa davvero difficile non ridere; ma le dinamiche fratello-sorella sono destinate molto presto ad esaurire abbondantemente la loro carica comica per qualsiasi spettatore abbia superato la maggiore età. A rubare spesso la scena è Al Pacino, che interpreta una versione disturbata e disturbante di se stesso: tra crisi d’identità e megalomania, Pacino si presta allo scherzo in un crescendo di situazioni al limite della follia che esplodono nella improponibile pubblicità finale dell’inzuppaccino. Perché un gigante del cinema abbia voluto ridicolizzarsi in questa maniera rimarrà un mistero insolubile. Un film senza pretese, diretto al solito pubblico di teenager che non mancherà di apprezzarlo.