Nella Roma “di piombo” tra anni ’70 e anni ’80, si assiste all’ascesa e al declino della Banda della Magliana che in 25 anni, nel succedersi dei suoi tre capi, il Libanese (Pierfrancesco Favino), il Freddo (Kim Rossi Stuart), il Dandi (Claudio Santamaria), conquistò la Capitale incrociando la propria strada con quella della malavita, della politica e non solo. A partire dal best seller di Giancarlo De Cataldo, Michele Placido realizza un film a metà tra racconto storico e epica criminale. Un gangster-movie con protagonisti non stereotipati, e finalmente cinematografici, affidati alle interpretazioni di alcuni dei migliori attori italiani del momento: oltre ai protagonisti Favino, Rossi Stuart e Santamaria, anche Elio Germano e la rivelazione Anna Mouglalis, la perfetta donna di malaffare contesa tra il boss e il poliziotto, come nelle trame hollywoodiane più classiche. Come nei noir italiani e francesi anni '70. Nonostante il tentativo di ritagliare nella vicenda uno spazio anche al commissario idealista, gli eroi del film sono inevitabilmente i capi della banda. Spietati, ma dotati di un proprio sistema di valori. Il film di Michele Placido è stato accusato di proporre un’immagine della malavita distorta, buonista, con criminali perfino ammirabili. Ma una simile critica, in un cinema come il nostro, un tempo abituato a storie criminali, non ha ragion d'essere. Semplicemente, i capi non sono macchiette post-scorsesiane ma uomini ritratti attraverso i propri sogni di grandezza (Libanese), l’amore (Freddo), la paura (Dandi). A ricordare che nessuno nasce cattivo e che per alcuni non c'è scelta, ci pensano un estemporaneo inizio pasoliniano al lido di Ostia e qua e là il regalo di alcune “belle morti” cinematografiche. La prova di Michele Placido è notevole non solo per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi ma anche per l’abilità nell’intersecare, pur con alcune stilizzazioni, la discussa storia di una banda con alcuni dei più dolenti fatti di cronaca italiana degli ultimi decenni del secolo scorso: le Brigate Rosse, l’omicidio Moro, il ruolo del SISMI, le infiltrazioni mafiose a Roma. Per la sceneggiatura, nonostante le numerose divergenze tra libro e film, il regista si è avvalso della consulenza, tra gli altri, dello stesso Giancarlo De Cataldo. Quello che senz’altro rende Romanzo Criminale un nuovo inizio per il cinema italiano è il ritmo: agile e quasi hollywoodiano. Merito degli attori, certo, ma anche di un montaggio moderno e accurato, con qualche concessione “tarantiniana”, come i titoli che precedono ogni sezione del film dedicata a uno dei capi della banda, o la sequenza iniziale di presentazione dei personaggi, sulle note di Ballroom Blitz degli Sweet. E, almeno stavolta, il cinema italiano sembra essersi accorto di un suo successo: Romanzo Criminale è stato vincitore di 8 David di Donatello, 5 Nastri d’Argento e 2 Italian Online Movie Awards.