Parigi, anni ’20. La sregolata vita di Amedeo Modigliani (Andy Garcia) prima del mito, tra alcool, gioco d’azzardo, l’amicizia con il fragile Utrillo, la rivalità con Picasso e l’amore per Jean. In una Montparnasse crogiolo di artisti il racconto - molto romanzato - della vita di uno dei più grandi pittori del secolo scorso. Il binomio genio-sregolatezza è al cinema sempre sinonimo di successo, specie se si parla di artisti. Amedeo Modigliani è probabilmente dopo Caravaggio il pittore che più si presta a trame da romanzo, spinte talvolta, come in questo caso, fino ad un eccesso di fantasia. Dopo aver sperimentato il filone calcistico con il divertente The Match, Mick Davis si cimenta in un biopic dirigendo un ottimo Andy Garcia nei panni dell’artista maledetto, livornese di nascita ma parigino per tutta la vita. Se la performance del protagonista merita un plauso, non si può dire lo stesso della sceneggiatura (anch’essa opera dello stesso Davis), quasi interamente incentrata sulla - presunta - rivalità tra Modì e Pablo Picasso, rappresentato qui grasso, presuntuoso e invidioso mentre sforna tele come baguettes. Se anche si può prestare fede a questa semplificazione dei rapporti tra i due artisti in nome della sempre valida legge protagonista-antagonista, insopportabile è invece il finale con Picasso che pronuncia il nome di Modigliani sul letto di morte scagliando estemporaneamente il pittore livornese in un olimpo in cui salirà invece solo molti anni dopo la morte. Ma Picasso è solo uno dei tanti grandi personaggi che qui Davis riduce a macchiette: con lui ci sono anche una delle più brillanti menti mai esistite, la collezionista Gertrude Stein, nel film una riccona lunatica, e il povero Maurice Utrillo, al quale, attraverso un personaggio pazzoide e assurdo che lo rappresenta, è tolta anche la dignità della follia. Il film di Davis vanta alcune buone idee, nella ricostruzione dell’ambiente di Montparnasse (interamente ricreato su un set romeno dai tre scenografi italiani Luigi Marchione, Giantito Burchiellaro, Enzo Forletta) e soprattutto nel racconto della sfortunata storia d’amore tra Modì e Jeanne Hébuterne (forse una strizzata d’occhio agli eredi del pittore), interpretata da Elsa Zylberstein, splendida attrice francese dal collo lunghissimo, incredibilmente somigliante al Ritratto di Jeanne. Ma l’eccesso di agiografia e le macroscopiche imprecisioni storiche, volte ad accentuare il carattere sregolato della vita di Modigliani, finiscono per oscurare anche la poeticità di alcune scene romantiche – tra cui il bel dialogo sui «colori dell’anima», che offre il sottotitolo al film - e non ultima l’interpretazione brillante di Andy Garcia.