Tanya Wexler prima di essere una regista è una donna laureata a Yale in psicologia dei generi sessuali. Non a caso, allora, il suo nome è associato ad un film come Hysteria, pellicola sull’invenzione del vibratore. Non tutti sanno che l’accessorio più usato in campo erotico è nato quasi per sbaglio, in un Inghilterra vittoriana convinta che donne alto-borghesi e annoiate fossero colpite dalla cosiddetta isteria uterina, da curare con un intervento manuale sulla sessualità al fine di raggiungere l’orgasmo. Mortimer Granville (Hugh Dancy) è un giovane medico ambizioso e progressista che si vede sbattere fuori dalla maggior parte degli ospedali londinesi per via delle sue idee scientificamente avanzate, e del suo mettere in dubbio dogmi ormai collaudati. Alla disperata ricerca di un lavoro, il ragazzo si imbatte nello studio del Dottor Dalrymple (Jonathan Pryce), esimio specialista della cura all’isteria. Nel suo studio convogliano donne nobili e ricche, che richiedono l’aiuto del dottore per guarire da questo male oscuro. Incuriosito dai metodi e bisognoso di uno stipendio, Mortimer comincia a lavorare nella casa di Dalrymple dove si innamora della bella Emily (Felicity Jones). Ma Dalrymple ha anche un’altra figlia, Charlotte (Maggie Gyllenhaal), ribelle e indomita suffragetta che si allontana dalla ricchezza del padre per difendere i propri valori. Con questi presupposti, Mortimer comincia a lavorare arrivando, insieme all’amico Edmond (Rupert Everett), a inventare l’oggetto che cambierà il modo di vivere la sessualità . Sebbene Tanya Wexler sia americana, il suo film, acclamato positivamente alla VI edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, è avvolto da un’aura britannica, palesata dall’eleganza della messa in scena. Nonostante il tema trattato, c’è una sorta di raffinatezza pudica che ben si accompagna agli abiti vaporosi e allacciati della moda vittoriana. Quelli che si aspettavano un film sovversivo, provocatorio su temi ancora oggi molto scottanti, rimarranno probabilmente delusi da una pellicola che miscela le caratteristiche della commedia sentimentale a momenti che sembrano scivolare nella farsa. Eppure la Wexler non ha mai avanzato pretese di stampo sociale e culturale nel presentare un film leggero e divertente che romanza e re-inventa la storia. La regista gioca su luoghi comuni e cliché che ben si prestano ad una fruizione di puro intrattenimento, nei quale gli spettatori possono facilmente e piacevolmente riconoscersi. Il tutto sorretto da un cast ispirato, su cui spicca soprattutto Rupert Everett che, nei panni del mecenate di Mortimer, sembra fare il verso alla sua stessa interpretazione in Un marito ideale, rimandando l’immagine di un adorabile furfante.