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Gli Sfiorati

02/03/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Gli Sfiorati

Méte (Andrea Bosca) è un grafologo innamorato della forza di svelatrice delle parole e distrutto dalla recente dipartita della madre...

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Méte (Andrea Bosca) è un grafologo innamorato della forza di svelatrice delle parole e distrutto dalla recente dipartita della madre. Belinda (Miriam Giovanelli) è una giovane ragazza spagnola caratterizzata dall’irruenza di una giovinezza ingenua. I due non si conoscono e non si sono mai visti, sebbene siano fratellastri, in quanto figli dello stesso uomo (Massimo Popolizio): un parvenue che si è arricchito grazie ad una squadra di calcio, troppo assente nella vita di Méte e ad un passo dal matrimonio con la donna che ama, la madre di Belinda. Proprio le imminenti nozze rappresentano per Méte e Belinda l’occasione di passare un po’ di tempo insieme, sullo sfondo di una Roma caotica e distratta. La convivenza forzata tra i due farà emergere una forte attrazione fino a giungere a situazioni destabilizzanti.


Domenico Procacci, uno dei più importanti produttori cinematografici italiani, ha definito il film di Matteo Rovere «il film più commerciale della Fandango». Tratto dal best seller omonimo degli anni ’80 di Sandro Veronesi, Gli Sfiorati è una pellicola che cerca di miscelare consapevolmente diversi generi – si passa dalla commedia al dramma – tentando di dimostrare che il cinema italiano può funzionare anche senza la “classica” commedia che, negli ultimi anni, viene riproposta senza fine. Cercando di abbattere stereotipi e cliché, Matteo Rovere trasferisce le vicende raccontate da Veronesi dagli anni ottanta ai giorni nostri, dimostrando che in trent’anni niente è cambiato, e che il clima culturale degli anni ’80 si può facilmente recuperare per i figli degli anni duemila. Individui sballottati nella loro solitudine esistenziale, che si dibattono tra una televisione sempre più scarsa e una sorta di isolamento universale. La generazione raccontata da Veronesi nelle sue pagine viene ripresa da Matteo Rovere: Gli Sfiorati diventano quei ragazzi a margine, privi di un qualsivoglia punto di riferimento che attraversano la vita con leggerezza, quasi senza notarla; quella generazione abbandonata a se stessa che trova nei personaggi interpretati da Andrea Bosca e Miriam Giovanelli i suoi massimi rappresentanti.


Sul film aleggia lo spettro dell’incesto, evocato dalla crescente attrazione che Méte prova verso la sua sorellastra. Una sorta di ossessione che lo costringe ad uscire di casa, a cercare quei pochi amici vicini per svagarsi in una notte romana che (finalmente) profuma di realtà, con feste e party più verosimili e che, dunque, permettono allo spettatore di riconoscersi in una fruizione altrimenti fredda. D'altra parte, Belinda, ribelle e vivace, si chiude in se stessa e nella sua camera, timorosa di quello che prova e che dunque tenta di scappare dalle sue pulsioni e dallo sguardo ossessivo di Méte. Tra loro due, Rovere inserisce una galleria più o meno riusciva di personaggi secondari, su cui spiccano Bruno, interpretato da Claudio Santamaria, unico personaggio con i piedi per terra e buon senso in testa, e Damiano (Michele Riondino), che sogna il lusso degli appartamenti che vende per lavoro. Il tutto veicolato da una sceneggiatura che zoppica un po’ troppo, senza soluzione di causa. Va comunque apprezzato il coraggio dimostrato da questo giovane regista alla sua seconda prova registica, per aver creato un film elegante e visivamente impeccabile.


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