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The Lady

21/03/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

The Lady

Nella popolata galleria di donne che sono riuscite, anche in minima parte, a cambiare il corso della storia, un posto privilegiato tocca senz’altro a Aung San S

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Nella popolata galleria di donne che sono riuscite, anche in minima parte, a cambiare il corso della storia, un posto privilegiato tocca senz’altro a Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e promotrice della democrazia in Birmania, dove ha vissuto agli arresti domiciliari per vent’anni. Impossibilitata dall’autorità locale a lasciare la propria casa, Aung San Suu Kyi non solo non ha potuto ritirare personalmente il prestigioso premio, ma si è vista privata del suo diritto di assistere il marito malato, morto nella lontana Inghilterra. Luc Besson, dopo aver irretito i più piccoli con la saga di Arthur e il popolo dei Minimei, torna a tratteggiare il ritratto di una donna forte e indomita, capace di piegare i dogmi della società. Dopo la killer Nikita, la coraggiosa Mathilda di Leon o l’intrepida Giovanna D’Arco, il regista francese sceglie di portare sul grande schermo la vita e la lotta di una donna che ha rinunciato alla propria esistenza a favore del popolo birmano.


Figlia del generale Aung San, morto per la sua intensa attività di liberazione della Birmania, Aung San Suu Kyi lascia il suo paese natale per studiare all’estero. Laureata ad Oxford, la giovane giunge a New York per proseguire gli studi e cominciare a lavorare alle Nazioni Unite. È proprio in America che conosce il futuro marito Michael, che seguirà a Londra, almeno fino alla notizia dell’infarto della madre. Per assisterla, Aung San Suu Kyi torna in Birmania dove, insieme al dolore della madre, scopre anche il dolore di un popolo, bistrattato e calpestato dal regime militare. Sceglie dunque di rimanere a Rangoon, diventando ben presto la voce più forte della lotta filodemocratica, tanto da costringere il governo birmano a scelte radicali, che porteranno alla detenzione di Aung San Suu Kyi in casa propria, dal 1989 al 2010.


Interpretata da un’ispirata Michelle Yeoh (già apprezzata in Memorie di una geisha), la Aung San Suu Kyi di Besson è una donna che segue i valori di un padre che ha perso troppo presto e che, come lei, ha combattuto per permettere alla Birmania di essere un paese libero e democratico. Tuttavia l’occhio del regista non sembra interessato più di tanto a raccontare le – importanti – lotte della donna: il racconto tenta di scendere più nell’intimità della persona, soffermandosi sulle chiamate interrotte, sulla difficoltà di vivere la propria vita. E, cosa ancor più interessante, il regista mostra il peso che la scelta di Aung San Suu Kyi di rimanere in Birmania ha avuto su coloro rimasti a casa, che seguono le sue vicende attraverso i mass media. Dal marito Michael (interpretato dal bravissimo David Thewlis) ai figli che crescono senza una madre, il ritratto della donna è in realtà l’effigie di una continua assenza, di un vuoto perpetuo che echeggia da una parte all’altra dell’emisfero. E su questa assenza Besson costruisce la maggior parte del bagaglio emotivo, senza tuttavia riuscire del tutto a creare una totale empatia con lo spettatore, anche per via di artifici che Besson non si preoccupa di celare. Scelto come film d’apertura della VI edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, The Lady è un biopic che colpisce per la grazia stilistica con cui è realizzato, ma che tuttavia fa storcere il naso per la sua ruffiana tendenza al melodramma; e nel tentativo di spingere forzatamente lo spettatore ad emozionarsi suscita, al contrario, un effetto quasi straniante.


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