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Matiere grise

22/03/2012 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Matiere grise

Balthazar (Hervé Kimenyi)è un giovane regista in procinto di girare il suo primo progetto cinematografico intitolato "Le cycle du cafard" - Il ciclo dello Scara

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Balthazar (Hervé Kimenyi)è un giovane regista in procinto di girare il suo primo progetto cinematografico intitolato "Le cycle du cafard" - Il ciclo dello Scarafaggio - dal soprannome dispregiativo che gli Hutu affibbiarono ai Tutsi nel corso della guerra del ’94. Nel film si raccontano le due storie parallele di un uomo, chiuso in manicomio a smaltire il dramma lasciatogli addosso dalla guerra, e dei due fratelli Yvan (Shami Bizimana) e Justine (Ruth Shanel Nirere), figli di due genitori trucidati, ormai abituati al dolore. Quando il governo rifiuterà a Balthazar i fondi per girare, il regista sprofonderà in una crisi che lo porterà a delineare maggiormente la sua sceneggiatura e anche la sua opinione sul paese in cui vive e lavora, il Rwanda, ancora profondamente turbato dalle passate atrocità belliche.


Qualcuno lo ha definito l’8½ ruandese. Storia di un regista in crisi e delle storie che vorrebbe raccontare ma non può. Se Kivu Ruhorahoza sia il Fellini africano ancora non è dato saperlo; di certo Matière grise, suo lungometraggio di esordio, è un film intenso e coraggioso, che racconta una storia già ampiamente protagonista della cinematografia internazionale: la guerra e il genocidio del 1994 in Rwanda. Stavolta però la prospettiva non è quella storicizzata di un conflitto civile con perdite immani, ma quella più individuale, un vero e proprio racconto del dolore. Sembra essere proprio l'attenzione alla persona, all’individuo protagonista, la cifra caratterizzante di questo cinema africano, che qui in Italia sta arrivando solo negli ultimi anni e in piccole dosi, ma che mostra una maturità e una poetica già matura. Matière grise narra del tentativo del giovane regista Balthazar di produrre un film, nonostante il rifiuto del governo di finanziarlo. Nel corso della realizzazione della pellicola il protagonista, deciso a tutto pur di portare a termine l’impresa, scoprirà – attraverso la propria storia e quella dei suoi attori - che le ferite del Rwanda sono ancora aperte, e sanguinanti. E sarà proprio questo il soggetto della sua opera, attraverso le vicende diverse e parallele di alcuni che sono sopravvissuti alla guerra e alle atrocità, ma che ancora portano su di sé le cicatrici fisiche ed emotive. Quello che il regista Ruhorahoza/Balthazar vuole comunicare è la realtà di un paese in cui i suoi abitanti convivono ancora oggi con il dolore, in famiglie dimezzate, di genitori uccisi barbaramente, donne sopravvissute a violenze di ogni genere e uomini resi folli dal dolore e dall’incapacità di comprendere il genocidio in atto sotto i loro occhi.


Lo stile di Kivu Ruhorahoza, ruandese, con un passato di studi in legge presto abbandonati per il cinema, è interessante, specie per noi europei, che riscopriamo nelle produzioni recenti di questi giovani registi un linguaggio diretto, audace, talvolta crudo, e una creatività che ha il sapore dell'avanguardia. Ma ad essere raffigurata dal regista non è solo la recente guerra: il film è soprattutto il racconto della fatica di realizzare in Rwanda un’opera che abbia per soggetto non l’AIDS e la sensibilizzazione più spicciola, come vorrebbero i funzionari del governo con cui Balthazar si scontra, ma il genocidio di una guerra senza fine. L’Africa non vuole che si racconti della vera Africa. La sceneggiatura di Balthazar, che nel film è definita “cupa e pessimista”, restituisce quella che è stata l’esperienza dello stesso Ruhorahoza, fin dalle sue prime volte come direttore al Rwanda Film Festival. La riflessione avanzata da Matière grise - primo lungometraggio diretto interamente in patria da un regista ruandese - è di ricostruire, insieme all’identità di un paese e alle macerie lasciate dalla guerra, la coscienza culturale che porta i governi a censurare le opere individuali in favore di un’immagine dell’Africa accreditata e fatta di stereotipi narrativi. Un'opera come quella di Ruhorahoza si distacca largamente dal resto della cinematografia che ha per oggetto il genocidio del ’94. Forse piacerà meno agli appassionati del cinema militante, ma costituisce un documento umano eccezionale e una prova del tutto autoriale. Prima di approdare a Milano, al Festival del Cinema dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dove il film è attualmente in concorso fino al 25 marzo, Matière grise è stato lungamente applaudito al Warsaw Film Festival, vincendo la Menzione come Miglior Film, e al Tribeca Film Festival. Anche qui Menzione Speciale della Giuria e premio come Migliore Attore per Shami Bizimana.


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