Squadra che vince non si cambia: Jim (Jason Biggs) e gli altri scalmanati ex alunni del liceo East Great Falls tornano con il capitolo conclusivo della trilogia dedicata ai pruriti sessuali e goliardici di American Pie. Questa volta l’assunto di partenza è che tutti, prima o poi, dovrebbero lasciarsi alle spalle le disavventure adolescenziali e mettere finalmente la testa a posto. È quello che prova a fare Jim quando chiede alla fidanzata Michelle (Alyson Hannigan) di sposarlo; ma a fare da cornice (e non solo) al matrimonio dei due ci sarà la solita giostra di amici che forse di crescere non ne vuole proprio sentir parlare. Adam Herz, ripropone per la terza volta uno script fotocopia: la sfrenata sessualità dei protagonisti – che se la vedono con cameriere dell’est senza pudori, nonne piene di entusiasmo carnale, madri lussuriose – viene ancora una volta miscelata senza cognizione di causa con un romanticismo di fondo che, in questo episodio più che negli altri, appare fuori tema e disturbante. Non lasciatevi ingannare dalla locandina del film o dal titolo stesso. Il matrimonio diventa solo il pretesto per far riunire gli storici protagonisti e ricreare le medesime situazioni di un tempo. Ma soprattutto al centro della narrazione non c’è più l’ingenuo e sfortunato Jim, ormai felicemente impegnato con Michelle, ma il roboante e volgare Stifler (Seann William Scott): sulle sue spalle poggia tutta la forza e la relativa debolezza della pellicola. Gli altri personaggi, che nei primi due episodi giustificavano la loro natura di coprotagonisti, qui vengono lasciati a marcire nella scomoda posizione di spalla durante escatologici siparietti che Stifler propina allo spettatore ormai avvezzo a qualsiasi tipo di nefandezza: dalla scena di sesso orale canino, passando per i vari tentativi di imbucarsi al matrimonio dell’amico. L’unico elemento nuovo di American Wedding è l’arrivo della sorellina di Michelle, Cadence (January Jones) per cui sia Finch (Eddie Kaye Thomas) che lo stesso Stifler perderanno la testa, sfidandosi e scambiandosi di ruolo: Finch diverrà il maniaco ossessionato dal sesso, mentre Stifler si trasforma in Steven, ragazzo educato con il pull-over sulle spalle in una sorta di effigie made in ’50s. Bisogna comunque ammettere che tra tutte le volgarità e le banalità che il film rifila al pubblico, alcune scene divertono anche gli spettatori che non rientrano nel target di riferimento della pellicola. Su tutte la sequenza di Stifler all’interno del locale gay, dove tra un revival degli anni ’80 (si sentono le hit She’s a maniac e Venus ) e mosse tutt’altro che aggraziate, sfida un energumeno in una gag dall’alto contenuto umoristico: di certo la migliore di tutta la trilogia. Il resto è fin troppo noto, anche per via di una regia – quella di Jesse Dylan – tutt’altro che incisiva, ferma com’è a registrare i tentati exploit di una sceneggiatura stanca e sfiduciata, che preferisce andare sul sicuro, piuttosto che tentare una sferzata finale.