Conclusa la trilogia originale di American Pie scritta da Adam Herz, ecco arrivare per i nostalgici uno spinoff che, pur non presentando gli storici protagonisti che hanno fatto della saga demenziale un successo planetario, accontenteranno i fan più accaniti, non solo con toni e atmosfere tipicamente goliardiche, ma anche con richiami più o meno espliciti a personaggi e ambientazioni dei primi tre capitoli. A dirigere il film c’è Steve Rush, regista che sembra essersi specializzato in sequel e spinoff (tra gli altri ha diretto anche il seguito di Ragazze nel pallone, teen movie sul cheerleading con Kirsten Dunst). Protagonista della vicenda è Matt Stifler (Tad Hilgenbrink), fratello minore dello scapestrato Steven. Durante l’estate il ragazzo è costretto a passare il suo tempo al campo Tall Oaks, dove Michelle (Alyson Hannigan) era solita passare la stagione estiva. Senza lasciarsi vincere dal cattivo umore, il ragazzo accetta la sua condanna con stoicità , anche perché è sua ferma intenzione portare scompiglio con scherzi a non finire. Il più fruttuoso dei quali consiste nel posizionare telecamere in ogni angolo libero del campo, filmando e spiando le ragazze. L’idea è quella di mandare poi il contenuto dei video al fratello maggiore, diventato, nel frattempo, il leader di una casa di produzione cinematografica. I piani del ragazzo vengono messi a dura prova dal direttore del campo (Eugene Levy) e dall’arrivo di Elyse Houston (Arielle Kebbel), sua amica d’infanzia e storica vittima dei suoi scherzi. Ma con la pubertà in arrivo e gli ormoni a mille, Matt comincia a provare qualcosa per Elyse che va al di là della sadica goliardia. Il ragazzo, così, tenta in ogni modo di evitare i suoi atteggiamenti naturali (ereditati in gran parte dal fratello) con risultati imbarazzanti e divertenti. Se con Il matrimonio sembrava che il franchise fosse arrivato ad una conclusione, c’è da chiedersi se si sentisse veramente il bisogno di uno spinoff gemello destinato direttamente all’home video. A dispetto dei gusti personali, è palpabile la sensazione che Band Camp sia solo un debole tentativo di continuare a cavalcare l’onda creata dal tifone American Pie. Situazioni e personaggi sono così stereotipati e attaccati ai precedenti che sembra di assistere ad una brutta copia del primo capitolo del 1999, anche a causa di giovani attori tutt’altro che talentuosi, che si sforzano di rimandare smorfie e manie dei predecessori. Persino la miscela di sessualità esplicita e romanticismo incallito, nella sua totale inefficienza ricalca molte delle scelte già sperimentate da Adam Herz nella trilogia originale. Pellicola senza pretese e senza grossi sforzi creativi, Band Camp non è altro che un film per gli affezionati del marchio, da aggiungere alla loro collezione personale. Dimenticabile.