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American Pie - Beta House

16/04/2012 10:00

Erika Pomella

Recensione Film,

American Pie - Beta House

Dello storico marchio lanciato da Paul Weitz e Adam Herz è rimasto solo il nome e qualche riferimento...

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Dello storico marchio lanciato da Paul Weitz e Adam Herz è rimasto solo il nome e qualche riferimento. Per il resto con American Pie – Beta House sembra di entrare in un nuovo franchise, una nuova saga con regole proprie. Dopo aver assistito ai suoi tentativi di sfuggire all’etichetta di vergine nel precedente Nudi alla Meta, ritroviamo Erik (John White), cugino del leggendario Stifler (interpretato nella prima trilogia da Seann William Scott), dimenarsi al college, sempre assistito dalla complicità dell’amico Cooze (Jake Siegel) e del cugino Dwight (Steve Talley). Lasciato dalla fidanzata, Erik ha come unico scopo quello di riuscire ad entrare nella famosa Beta House, la confraternita di Dwight, acerrima nemica della Greek House. La secolare lotta tra secchioni e perdigiorno viene messa in scena attraverso la lotta di queste due confraternite: sarà compito degli Stilfer ribaltare la gerarchia universitaria e portare la Beta House alla vittoria, durante le sfrenate Olimpiadi del sesso e della pazzia, arbitrate da Noah Levenstein (Eugene Levy).


A distanza di quattro anni Adam Herz torna a scrivere una commedia demenziale che pone al proprio centro narrativo la parabola di un gruppo di giovani alle prese con le ossessioni sessuali. Beta House è soprattutto una giostra visiva di ragazze in abiti succinti e di giovani disposti a tutto pur di raggiungere non solo il potere all’interno del college, ma anche – e soprattutto – ciò che la "american pie" rappresenta. C’è poco da aggiungere per un film che si presenta senza alcune pretese di sorta, nato per il mercato home video e che, per questo, giustifica una natura tecnica scialba e del tutto anonima. La banalità dell’intreccio e di alcune situazioni è ormai routine, prova che il pubblico di riferimento non sente il bisogno di cercare nulla di diverso, adagiato com’è su una tradizione demenziale lanciata nel 1999 dal primo American Pie. Proprio come il film di Weitz, anche questo di Andrew Waller è una pellicola che non cerca in alcun modo di diventare intrattenimento per famiglie né di abbracciare una fetta di pubblico che vada al di là di adolescenti affezionati alle atmosfere goliardiche di scalmanati campioni di seduzione. Non c’è dubbio che una nuova generazione di giovani si lascerà trascinare dal tormentone American Pie, riuscendo ad apprezzare anche un prodotto anonimo come Beta House che, pur con tutti i suoi difetti, accetta di essere amato - o mal sopportato - per quello che è. Di sicuro, comunque, è il migliore episodio degli spin-off, pur con il riesumato Eugene Levy che, film dopo film, diventa sempre più la caricatura di se stesso.


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