Nei primi giorni di Marzo l’inviato de Le Iene Paolo Calabresi mostrò all’Italia un servizio choc su una ballerina della Scala di Milano, licenziata dopo aver dichiarato che nell’importante teatro milanese erano molte le danzatrici che soffrivano del disturbo alimentare che può condurre alla morte se persistente e ignorato. Al di là delle implicazioni politiche, il programma servì a dimostrare quanto l’anoressia sia ancora un disturbo da combattere a livello informativo, che deve essere curato innanzitutto riuscendo a parlarne. È la strada percorsa da Marco Pozzi con il suo film Maledimiele, pellicola presentata a Venezia nel 2010 ed ora portata al cinema grazie all’operazione congiunta di Movimento Film e 3per in collaborazione con Lo Scrittoio. Sara (Benedetta Gargari), giovane adolescente di quindici anni, appartiene a un ceto alto-borghese, circondata da un mondo al quale sente di dover appartenere, senza tuttavia riuscirvi. La sua esistenza si spacca in due: da una parte una ragazza bella, con mezzi economici più che soddisfacenti, ottimi voti a scuola ed amiche affezionate. Dall’altra si nasconde una dimensione più sotterranea, che percorre il tragitto costante dal frigorifero al bagno, dove Sara butta via tutto: le incomprensioni, le paure, il vuoto che sente dentro e che non sa come combattere. Lo spettro dell’anoressia comincia ad aleggiare sulla sua testa, senza che i genitori e le amiche riescano a vederlo. Questo perché Sara non vuol farlo vedere, non vuol mostrare a nessuno la sua debolezza. Finché, durante una gita scolastica, la ragazza – denutrita e allo stremo delle forze – non perde i sensi. Una stanza silenziosa, gesti convulsi di una ragazza che mangia senza freno: l’incipit narrativo del film di Marco Pozzi è la disturbante sequenza di un’adolescenza inconsapevole del proprio corpo, che attacca post-it in una sorta di rifugio segreto, segnando calorie e chilogrammi, ed insieme il sogno di una via di fuga da una vita che, pur senza troppi problemi, le va stretta, la stritola, la soffoca. Sara pesa 38 chili, indossa vestiti di taglie più grandi per celare la scheletricità del proprio corpo e, insieme, tutto quello che non riesce ad accettare della sua vita. Maledimiele si concentra sulla storia personale di una ragazza che, proprio attraverso la sua unicità , riesce a tratteggiare il ritratto di altre migliaia di persone affette dallo stesso disturbo. Non è un film voyeuristico, che induce con perversa ostinazione lo sguardo su un corpo ridotto allo stremo; è piuttosto l’analisi – tutt’altro che imparziale – di uno stadio mentale e psicologico pieno di confusione e di dubbi. Strategia sottolineata anche da un continuo silenzio che preme per tutto il film, che schiaccia la diegesi, che la rende rarefatta. Ed è proprio nell’aspetto psicologico che si deve ricercare il germe di una malattia tanto diffusa. Maledimiele disturba e fa male, come un pugno nello stomaco e che resta lì, sospeso nelle coscienze, a reclamare l’attenzione di una collettività troppo spesso addormentata. Questo grazie anche a delle interpretazioni di buon livello: specialmente Gian Marco Tognazzi, commovente e stoico, che ben riesce a duettare con il talento acerbo della protagonista Benedetta Gargari.