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Hunger Games

24/04/2012 10:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Hunger Games

Apprezzato dalla critica d’oltreoceano, dove ha stravolto il box office con incassi da capogiro, arriva in Italia The Hunger Games, ritratto distopico (ma non p

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Apprezzato dalla critica d’oltreoceano, dove ha stravolto il box office con incassi da capogiro, arriva in Italia The Hunger Games, ritratto distopico (ma non per questo eccessivamente lontano) di un Nord America spazzato via da guerre intestine, trasformatosi nel paese di Panem, dove la ricca ed eccentrica Capitol City tiranneggia su dodici distretti. Qui, ogni frazione, ogni anno, è obbligata a scegliere un ragazzo e una ragazza, di età compresa tra i 12 e i 18 anni, da offrire come tributi nel reality show intitolato "The Hunger Games", i giochi della fame.


Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) vive nel Distretto 12, nella povera zona del Giacimento. Dopo la morte del padre, la giovane è costretta ad andare a caccia nei boschi adiacenti alla sua casa, per sfamare la madre e, soprattutto, la sorellina Prim (Willow Shields). Le dà una mano Gale (Liam Hemsworth), amico d'infanzia altrettanto povero e determinato a sostenere la propria famiglia. La vita dei due ragazzi muta irrimediabilmente quando alla mietitura per i 74° Hunger Games, la presentatrice Effi (Elizabeth Banks) tira fuori dall’ampolla il nome di Primrose Everdeen. Katniss, che ha passato la vita a proteggere la sorella, decide di offrirsi come volontaria allo spettacolo mediatico che Capitol City mette in scena ogni anno, dove 24 persone si uccideranno in una gara per la sopravvivenza. Insieme alla giovane impavida, il destino chiama sul palco Peeta Mellark (Josh Hutcherson, che accompagnerà Katniss nell’arena. Ad affiancare i giovani adolescenti in questo lungo e periglioso cammino ci sarà l’ubriacone Haymitch (Woody Harrelson), un ex vincitore degli Hunger Games, e Cinna (Lenny Kravitz), lo stilista in cui Katniss troverà un insperato conforto e che le permetterà di catturare l’attenzione di due personaggi illustri: lo stratega Seneca Crane (Wes Bentley) e il presidente Snow (Donald Sutherland).


Tratto dal bestseller di Suzanne Collins e diretto da Gary Ross (Pleasantville e Seabiscuit), Hunger Games è un film che, pur riferendosi ad un pubblico giovanile, non rinuncia ad uno stile ben preciso e tutt’altro che patinato. L'immersione iniziale all'interno della storia è affidata all’uso spasmodico della camera a mano - traslazione della prima persona narrativa cartacea - che segue da vicino la protagonista per restituire allo spettatore l’intimità e la soggettività del personaggio. Appena la scelta registica di Ross rischia di scadere nell’ostentazione di un mero esercizio di stile - con passaggi di inquadrature traballanti e un montaggio serrato e quasi caotico - la tensione degli Hunger Games si condensa, e la macchina da presa si stabilizza nel momento in cui è la personalità di Katniss a muoversi nei meandri dell’esperienza umana. Spaventata dai rapporti intimi, costretta sin dall’infanzia a far affidamento solo su di sé, Katniss scopre nuovi lati del proprio carattere, che emergono proprio grazie alle brutalità del reality show che tutta Panem segue. Mentre la linearità del racconto si sgretola, i ricordi della protagonista si confondono ai suoi incubi e alle sue più infime paure. Gary Ross è senz’altro aiutato non solo dalla bella fotografia di Tom Stern, ma soprattutto dall’impianto diegetico costruito a monte da Suzanne Collins, collaboratrice anche alla stesura della sceneggiatura. La scrittrice statunitense miscela i giochi nell’arena dell’epoca romana e il mito greco del Minotauro, dove ogni anno 14 tra ragazze e ragazzi venivano mandati come tributi a morire tra le fauci della creatura mitologica. Una calibrata fusione di onore e coraggio, dove a farla da padrone sono i sentimenti messi in gioco: quelli legati alla famiglia rimasta a casa, a un amico che assiste alla messa in scena del tradimento, a un compagno di squadra leale e innamorato. Soprattutto, Hunger Games è una - non tanto celata - critica allo showbiz che si fa forte di scene dall’alto contenuto perturbante e fa della prostituzione del dolore il proprio profitto.


Ma la vera forza del film risiede nell’interpretazione di Jennifer Lawrence. Vista recentemente in X Men: l’inizio, l'attrice aveva già conquistato la critica di tutto il mondo in Winter’s Bone, che le valse la prima nomination agli Oscar. Anche allora, vestiva i panni di una giovane abbandonata a se stessa, costretta a grandi sforzi e umiliazioni per tentare di salvare quello che restava della sua famiglia. La giovane interprete tiene alto il livello del film, sorreggendolo tutto sulle proprie spalle. La lunga lista di egregi comprimari fa il resto, a partire dal coprotagonista Josh Hutcherson che restituisce l’immagine di un ragazzo ingenuo e sincero, perdutamente innamorato e ostinatamente determinato a rimanere se stesso, senza che la crudeltà del gioco possa cambiare la sua anima. Un encomio va indirizzato anche a Stanley Tucci, eccentrico e adorabile presentatore tv, personaggio metalinguistico che, mentre fa la cronaca dei giochi, si rivolge allo spettatore finzionale di Panem e a quello reale del cinema, guidando entrambi lungo le regole e le particolarità dello show. L’unica nota stonata è il personaggio interpretato da Woody Harrelson: sebbene l’attore risulti irriverente e spiritoso, la sua costruzione psicologica è la più affrettata e, per questo, la meno riuscita. Disattenzioni che non intaccano un film d’intrattenimento in grado di sondare le profondità dei rapporti e delle psicologie umane. In attesa di un seguito altrettanto entusiasmante consigliamo di leggere, prima della visione, il romanzo da cui è tratto il film e di vedere la pellicola nella versione originale: il doppiaggio di Katniss non si può dire totalmente appagante.


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