Quarto spin off della fortunata saga di American Pie, Il manuale del sesso prende il via dieci anni dopo che gli eroi della East Great Falls inaugurarono il franchise da milioni di dollari. Al centro della vicenda stavolta c’è Rob (Bug Hall), adolescente alle prese con le prime tempeste ormonali. Insieme agli amici Nathan (Kevin M. Horton) e Lube (Brandon Hardesty) – anche loro irrimediabilmente vergini – il ragazzo si imbatte nel famoso Manuale del Sesso, una sorta di Bibbia capace di svelare ogni segreto per far impazzire una ragazza e condurla ad un orgasmo indimenticabile. Purtroppo per loro, il tempo e l’umidità del nascondiglio (un sottoscaffale della vecchia biblioteca) hanno rovinato il libro, rendendo alcune pagine totalmente inintelligibili. Rob, allora, decide di mettersi in contatto con coloro che hanno redatto il manuale, primo tra tutti l’immancabile Noah (Eugene Levy). Con i consigli dell’uomo e il manuale sotto gli occhi, Rob riuscirà infine a confessare i suoi sentimenti all’amica Heidi (Beth Behrs), non prima di aver dato il via ad una girandola di situazioni imbarazzanti ed equivoci divertenti. Passano gli anni, ma gli ormoni restano invariati. Il quarto spin-off - distribuito esclusivamente per il mercato home video - arriva sugli scaffali dei fan, per inserire un ulteriore tassello nell’apparentemente infinito universo di American Pie. Proprio come i film che l’hanno preceduto, The Book of Love tenta, senza molto successo, di ricreare l’atmosfera goliardica esplosa con il primo capitolo, diventando una sorta di copia conforme che, proprio come gli altri spin-off, presenta uno schema che si basa su alcuni elementi ricorrenti. Primo tra tutti la presenza di un incipit in cui la goffaggine e l’inesperienza del protagonista vengono svelati attraverso la celeberrima scena di masturbazione scoperta (molto spesso dai genitori) in maniera imbarazzante. Il secondo elemento è la presenza, irrinunciabile, di un componente della famiglia Stifler, che tenda in alto lo stendardo della casa. In questo caso si tratta di Scott che, nonostante tutto, ha toni e colori troppo normali per essere anche solo lontanamente imparentato con l’originale Steve. Infine, Eugene Levy rappresenta il vero trait d’union dell’intera costola degli spin off, ricorrendo in modo costante e prestandosi ad essere un mentore per le giovani menti in subbuglio. Con queste premesse non si può certo parlare di un film riuscito. Probabilmente il peggiore della saga, non tanto per via dei gravi deficit a livello registico e tecnico, quanto piuttosto per un esaurimento palese delle trovate comiche e narrative. Questo porta ad un’ulteriore esclusione di fette di pubblico. Se la trilogia originale si riferiva ad un chiaro target, gli spin-off restringono ancora di più la porzione: da una parte l’uscita in home video fa sì che il film si rivolga solo ad un pubblico realmente interessato (gli affezionati al marchio e adolescenti dalle inesistenti pretese fruitive), dall’altro la ripetizione di stilemi e contenuti impedisce ad altri spettatori di avvicinarvisi.