Realizzato da due figli d’arte che rispondo ai nomi di Josh Trank e Max Landis, Chronicle è un’interessante opera prima, che mescola e gioca con diversi generi e forme del cinema, richiamando fortemente film come Cloverfield e District 9. Andrew è il classico liceale timido e impacciato, con il quale il destino sembra essersi accanito: sua madre è gravemente malata, suo padre è un alcolizzato violento e fuori di casa il ragazzo è vittima degli scherzi dei compagni di classe e delle angherie e della gentaglia del quartiere. Un giorno Andrew decide di comprare una videocamera e riprendere costantemente quello che gli accade: una sorta di cronaca della sua vita, uno schermo attraverso il quale filtrare una realtà alla quale non si sente capace di adeguarsi. La decisione non è priva di contro-indicazioni: molti sono quelli che non apprezzano un comportamento giudicato strano e molesto, in primis suo padre. Cionondimeno, quest’abitudine gli consente di costruire una testimonianza forte dell’esperienza fuori dal comune che farà in compagnia di suo cugino Matt e dell’amico Steve. Insieme ai due compagni, Andrew entrerà in contatto con un’entità apparentemente aliena, che doterà i tre di straordinari poteri telecinetici. Il dono però dovrà essere usato con attenzione, per evitare che diventi una pesante condanna… Il racconto portato avanti da Chronicle, sebbene non rappresenti niente di nuovo, si lascia seguire e coinvolge quel tanto che basta da arrivare alla fine del film senza eccessiva fatica. A dispetto di quanto si possa ipotizzare e nonostante le premesse della descrizione del personaggio, Andrew non è un protagonista con il quale si riesca ad empatizzare più di quanto non accada nel film alle persone che lo incontrano, ma il modo in cui lui, Matt e Steve scoprono i propri poteri, e imparano ad utilizzarli, rende avvincente il seguirne le vicissitudini. Lo stile da docu-fiction adottato da Trank non è più una novità , sdoganata dai vari Paranormal Activity e i sopracitati Cloverfield e District 9, ma si rivela sicuramente un buon espediente per ridurre i costi di produzione di un film che presenta un necessario utilizzo degli effetti speciali. L’effetto di realtà ottenuto mediante l’utilizzo della macchina a mano viene portato avanti nel corso della storia affidandosi ad espedienti non pienamente giustificati dalle premesse, ma utili a mantenere la coerenza di stile: alcune sequenze vengono riprese da altre videocamere oltre quella del protagonista, ma sempre con una pretesa documentaristica, sia quella della blogger che riprende tutto per i suoi follower o le riprese d’ufficio della polizia. Nel complesso si tratta di una pellicola lontana dall’interpretazione supereroistica classica e improntato su una drammaticità da violenza domestica e sociale che, anche per lo stile, in certi frangenti ricorda Elephant di Gus Van Sant. Questo implica naturalmente un impatto poco immediato del film, che tuttavia può rappresentare uno stimolante spunto di riflessione.