Claire (Marie Gillain) è un magistrato che deve fronteggiare la situazione di Céline (Amandine Dewasmses), madre della migliore amica di sua figlia e donna schiacciata dal peso di molteplici debiti che non è in grado di pagare. Per tentare di aiutarla, Claire finirà per chiedere aiuto a Stephane (Vincent Lindon), giudice esperto, che dopo un tentennamento iniziale accetterà di soccorrere la donna indebitata e i suoi figli. Mentre il rapporto tra Claire e Stephane si fa sempre più stretto, la donna scopre di non aver più molto tempo per emettere la sentenza atta a scagionare Céline. Un male oscuro e imbattibile, infatti, grava sulla sua testa e su quella della sua famiglia. Il regista Philippe Lioret, supportato dallo sceneggiatore Emmanuel Courcol, scrive un film che trae liberamente spunto dal romanzo autobiografico di Emmanuel Carrère Vite che non sono la mia (edito in Italia da Einaudi). «Non un adattamento» ha dichiarato il regista «ma una libera ispirazione». Il risultato è una pellicola che, pur partendo da una situazione specifica (quella dell’indebitamento di Céline), arriva in realtà a parlare dei rapporti umani e, in particolar modo, delle modalità in cui le persone interagiscono tra di loro, dando vita a diversi modi di concepire l’amore. In effetti l’elemento più pregnante di tutta la narrazione è il rapporto tra Claire e Stephane. Lei è un magistrato con una storia difficile alle spalle che le permette di identificarsi in Céline; ma è anche – e soprattutto – una madre e una moglie che, suo malgrado, deve organizzare l’esistenza di coloro che ha intorno, con una spada di Damocle che minaccia la sua vita. Dall’altra parte c’è Stephane, un giudice cinico e stanco, che tuttavia prende a cuore il problema di Claire e se ne fa carico, e che rinuncia alla propria soddisfazione personale per permettere alla donna di avere ancora fiducia in se stessa. Questi due personaggi così simili e così distanti entreranno in contatto per necessità professionali, riuscendo tuttavia a sviluppare una storia d’amore che si fa forte di molteplici cose non dette. L’empatia che lo spettatore prova per questa storia non convenzionale è possibile grazie soprattutto alla meravigliosa interpretazione di Vincent Lindon, adorabile allenatore di rugby dal cuore d’oro. A fargli da contraltare c’è Marie Gillain che, tuttavia, non riesce a tenere il ritmo del collega, risultando a volte eccessiva per l'espressività che enfatizza un personaggio già impregnato di problematiche. Proprio nel sovraccarico di tematiche si deve ricercare il punto debole della pellicola: Tutti i nostri desideri è un film che tenta di soffermarsi maggiormente su quegli aspetti che rendono difficoltoso il cammino dell’esistenza, come la consapevolezza di avere i minuti contati, mai sufficienti a sistemare tutto ciò che si è lasciato in sospeso. L’insistenza di toni melodrammatici su questo aspetto rischia di far perdere di vista il vero fulcro della diegesi, rendendo la fruizione spettatoriale caotica, anche per via di un ritmo altalenante e discontinuo.