In tempo di dibattito sul ritiro delle truppe dall’Afghanistan e di attentati giornalieri, arriva il cinema a raccontare la storia del coraggio di una giornalista sequestrata e del valore dei soldati inviati a salvarla. L’ennesima epica militare hollywoodiana? Non esattamente. A raccontarci la differenza tra buoni e cattivi stavolta è un regista francese, Stéphane Rybojad, un passato come autore di documentari sulle forze armate di casa e questa pellicola, per esordire sul grande schermo. Elsa Casanova (Diane Kruger) è una giornalista francese, giunta in Afghanistan per un’inchiesta sulla condizione delle donne nel regime talebano. Un giorno il gruppo di ribelli di Ahmed Zaief (Raz Degan) la rapisce, insieme alla sua guida afghana. Per liberare la giornalista vengono inviati in Afghanistan gli uomini delle forze speciali, che riusciranno a trarre in salvo Elsa, pur perdendo i contatti con la base. Da qui i soldati e la giornalista inizieranno il viaggio alla ricerca di un rifugio attraverso il paese, sempre inseguiti dagli uomini di Zaief. Special Forces - Liberate l'ostaggio trae senz’altro beneficio dalla conoscenza del regista dell’apparato militare e delle tecniche di combattimento dei corpi speciali dell’esercito francese. Le sequenze di battaglia sono maestose, quasi da kolossal, e non può non essere citato lo splendido uso della fotografia con il quale è immortalato il rude ma meraviglioso paesaggio afghano. Ma fin dalla prima scena - il prologo con la missione di cattura di un criminale jugoslavo - il film di Rybojad mostra l’ingenuità e l’inadeguatezza delle scelte registiche. Il fulcro dell’intera vicenda è la giornalista Elsa, stereotipata donna coraggio che per tutto il film sopporta non solo il sequestro ma anche il duro recupero da parte dei militari e la lunga fuga attraverso l’Afghanistan. Una donna – Diane Kruger, bellissima anche sfinita e in mezzo alle intemperie - in confronto alla quale i militari sfigurano per coraggio e doti fisiche. Dall'altra parte i talebani, con il capo dei sequestratori interpretato da Raz Degan, protagonisti di pochi, lentissimi dialoghi. Tuttavia, se si fosse limitato a dirigere la schematica trama di un film di guerra, senz’altro Rybojad, nonostante le inesattezze e la sbrigatività di certe sequenze, avrebbe soddisfatto ogni aspettativa degli amanti del genere. Invece il regista, trovandosi a girare per la prima volta un lungometraggio di finzione, non racconta soltanto le operazioni di recupero di un ostaggio in zona di conflitto, ma esplora tutte le possibilità di una narrazione bellica. Ed ecco che la storia assume un insopportabile sottotesto sociale: la denuncia (femminile) della condizione delle donne in Afghanistan, la difficoltà di fare informazione, la povertà della gente afghana, il cuore d’oro dei soldati e il valore militare. Ma allora che genere di film è Special Forces? Una pellicola d’azione, un dramma di guerra, la storia di una giornalista coraggiosa o l’elogio psicologizzato delle forze speciali francesi? L’ipotesi più verosimile è che si tratti dell’opera prima di un regista/reporter, dotato dei mezzi e degli attori giusti, ma di poche e confuse idee sul cinema, a anche sulla guerra.