Gli uomini in nero sono agenti senza identità, esseri viventi che non lasciano alcuna traccia sulla Terra. Il loro compito è quello di difendere il Pianeta dall’immigrazione clandestina degli alieni i quali assumono sembianzeterrestri per vivere indisturbati tra gli umani. Questo è lo scenario di Men in Black, trasposizione cinematografica dell’omonimo fumetto di Lowell Cunningham, diretta dal visionario Barry Sonnenfeld, regista dell’irriverente dittico de La famiglia Addams. È giunto il momento di trovare un degno sostituto dell’agente K, membro di un’agenzia segreta del governo americano, che seleziona i migliori uomini della nazione per sottoporli a complicati test intellettivi. La scelta ricade su James Edwards, un poliziotto impulsivo e indisciplinato che, inconsapevolmente, è riuscito a catturare un alieno semplicemente con le sue forze. Quando una pericolosa piattola approda sulla Terra per distruggerla, gli agenti K e J sono costretti ad entrare in azione. Armi ipertecnologiche, alieni mimetizzati, piattole viscide generatrici di scarafaggi e neuralizzatori capaci di cancellare parzialmente la memoria, sono i veri protagonisti di MIB. L’ambiziosa sceneggiatura di Ed Solomon (Charlie’s Angels) unisce generi diversi, compiacendo gli amanti della fantascienza, i sostenitori degli effetti speciali e i fautori della commedia. Sonnenfeld gonfia miti e personaggi fino al paradosso più estremo, attraverso una coppia bizzarra, opposta e complementare: Tommy Lee Jones, uomo tutto di un pezzo, e l’irriverente e camaleontico Will Smith, punto focale di tutta la narrazione. Quest'ultimo rappresenta il personaggio chiave con cui lo spettatore si identifica: impossibile non ridere della sua ingenuità e spontaneità, non simpatizzare con il personaggio più “umano” di tutti. J non abbandona i suoi difetti, non rinuncia alla propria impulsività, non modifica la propria condotta per diventare un gelido (e poco seduttivo) “James Bond sotto copertura”. Sprezzante del pericolo e atletico fino al midollo, il neo-agente troverà il modo di liberare K dagli schematismi di cui era schiavo, rendendolo un uomo migliore. Infine la colonna sonora di Danny Elfman fà il resto, introducendo, con il suo stile disarmonico ed eccentrico, vertiginoso e stravagante, lo spettatore in un universo allucinato. Le note del compositore burtoniano accompagnano l’entrata in scena degli extraterrestri sin dal momento in cui entrano in contatto per la prima volta con gli umani. E loro, creature interspaziali dall’aspetto orripilante e multiforme, creati da Eric Brevig, sono degne rivali dei protagonisti lucasiani di Guerre Stellari. Attraverso il loro maestoso aspetto rivelano, ben presto, la morale del film riducendo i protagonisti ad una semplice, minuscola, parte di un universo infinito. Tra scazzottate, battute impertinenti e creature intergalattiche, Sonnenfeld riempie di azione, alieni e divertimento una pellicola che catapulta lo spettatore in un mondo dove alieni e umani convivono alla - non sempre rivelatrice - luce del sole.