Sebbene siano passati più di dieci anni dal dramma dell'11 settembre, il crollo delle Torri Gemelle rimane una scena indelebile nella memoria collettiva. Il mezzo cinematografico ha cercato in molti modi di affrontare quella tragedia, di esorcizzarne la paura e superarne il trauma. Dopo Fahrenheit 9/11, Remember Me e World Trade Center, Hollywood torna a parlare dello spettro americano che si aggira ancora per le strade, negli edifici, nelle case. Stephen Daldry, nuovamente dietro la macchina da presa dopo il premiato The Reader, realizza l'adattamento cinematografico del romanzo di Jonathan Safran Foer. Oskar Schell è un bambino di nove anni talmente intelligente che, involontariamente, finisce per assumere comportamenti eccentrici ed ossessivi. Il padre Thomas è un marito fedele, un genitore affettuoso e premuroso che instaura un rapporto speciale con il figlio. Valorizzando al meglio le doti intellettuali di Oskar, l’uomo organizza delle “spedizioni esplorative”, delle vere e proprie cacce al tesoro che portano il ragazzo a scoprire il mondo, pur rapportandovisi da lontano. Il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, Thomas si trova in uno degli edifici e rimane vittima dell'eccidio. Oskar non riesce a darsi pace per la perdita del padre, cerca un modo per sentirsi vivo e, conseguentemente, di trasformare la sofferenza interiore in un dolore fisicamente reprimibile. Quando rompe un vaso del padre e vi scopre una chiave misteriosa, il bambino inizia a cercare la porta che questa può aprire. L’unico indizio di cui dispone è la scritta “Black” sulla busta che la contiene e, così, a piedi, parte alla ricerca dei 472 Mr. e Mrs. Black che abitano a New York. Una spedizione lunga e complicata che, tra successi e delusioni, lo porterà a scoprire il vero senso della vita. Non era facile trovare il giusto equilibrio tra dramma e melodramma e bilanciare, senza eccedere, un'irrefrenabile vena emotiva e il disperato tentativo di lottare per un mondo (e contro un destino) iniquo. Eppure Eric Roth, sceneggiatore di Forrest Gump, è riuscito a costruire una storia che, pur rimanendo fedele al romanzo originale, evita eccessi di pathos. Il personaggio di Oskar viene privato di tutte quelle sfaccettature ironiche e vivaci che, originariamente, lo caratterizzavano a favore della sua indole malinconica, sofferente e disperata. Il piccolo Thomas Horn porta sulle sue esili spalle il peso di un segreto tanto amaro quanto imbarazzante che lo rende, fotogramma dopo fotogramma, più maturo. Punto focale dell’intera narrazione, Oskar utilizza gli occhi per assistere alla tragedia, le orecchie per ascoltare le urla di dolore, le gambe per correre lontano. Le numerose soggettive acustiche e visive, le lunghe inquadrature sfocate, silenziose e appannate, contraddistinguono gli eventi più importanti della pellicola, quelli del “giorno più brutto”. Tom Hanks e Sandra Bullock tentano di affiancarlo con interpretazioni intense e commoventi, sebbene la storia, tra flashback, ricordi e visioni, cerchi di mantenere l’attenzione del pubblico ben salda sul piccolo protagonista. Un bambino in costante ricerca d’amore che, perdendo il suo affetto più grande, cerca un amico nell’enigmatico vicino di casa, un Max Von Sydow privato della parola ma in grado di colpire anima e cuore dei personaggi, e degli spettatori. Stephen Daldry, regista di Billy Elliot e The Hours, confeziona un’opera drammatica, coinvolgente ed emozionante, in bilico perenne tra amore e odio, gioie e dolori, vita e morte, ricordando che “se le cose si trovassero facilmente, non varrebbe la pena di cercarle”.