«Da un grande potere derivano grandi responsabilità». Il comic-movie, calderone multigenere e per eccellenza simbolo dell'intrattenimento cinematografico del nuovo millennio, è tutto in questo estratto morale: in quanto Spider-Man si configura fin da subito come suo portabandiera. E pazienza se il primo tessi-ragnatele di Sam Raimi giunge cronologicamente tardi rispetto al mal riuscito sperimentalismo di Spawn o alla pietra angolare gettata da Bryan Singer con X-Men nel 2000. Il primo adattamento delle avventure dell'Uomo Ragno rappresenta l'origine popolare di una tendenza che, negli anni a venire, occuperà le sale cinematografiche dell'intero pianeta, creando seriali proselitismi e legando a doppio nodo l'industria cinematografica con quella fumettistica, mai così indissolubili, definitivamente dipendenti.
Spider-Man è il vanishing point del cinema dal doppio zero finale, il “punto zero”, quello dal quale è impossibile fare ritorno; in grado di scindere ciò che vi è stato prima da quanto vi sarà all'indomani. La prima creatura di Raimi è pressoché esente da difetti, tanto tecnici quanto narrativi o emotivi, in quanto trascinata da una passione viscerale verso la materia prima professata dal suo autore che, trasponendola sul grande schermo, arriva a realizzare, probabilmente, il sogno di un'intera carriera. Il regista de La Casa raggiunge con spontaneità al cuore metaforico del fumetto, appropriandosi non tanto del suo lato spettacolare, invero mai in secondo piano di considerazione, quanto della morale e delle contraddizioni sentimentali che caratterizzano il super eroe.
A caricarsi il fardello è Tobey Maguire, monoespressivo per i detrattori, alla fine della fiera perfetto per indossare gli scomodi panni del primo Peter Parker: adolescente timido e sommerso dai libri, incapace di costruirsi una vita sociale e, di conseguenza, inadeguato a far breccia nel cuore di Mary Jane Watson, vicina di casa e non dichiarato amore di una vita. Un ragazzo costretto a crescere in fretta, a causa di un superpotere che, involontariamente, gli porta via l'amato zio Ben, trasformandolo infine nel notturno protettore di New York: eroe mascherato inviso all'opinione pubblica, quest'ultima fomentata dal quotidiano Daily Bugle, testata per la quale Parker lavora come fotografo freelance. Un buono trattato alla stregua di una minaccia, essere superiore ritenuto, almeno inizialmente, pericoloso. Proprio ciò che avveniva con gli uomini X di Singer, dissonanza di percezione che caratterizza qualsivoglia fumetto o graphic novel di valore che tratti, con abilità, tematiche extra umane; che inevitabilmente cozzano con il feedback terrestre e terreno. Nonostante il precario equilibrio produttivo dettato dalla tragedia delle torri gemelle, la pellicola riesce nella doppia impresa di rappresentare su celluloide quanto il disegno riportava su carta e di instaurare con New York un legame che sa di cordone ombelicale: all'interno del quale senza il secondo (la grande mela), non avrebbe motivo di esistere il primo (l'eroe). Il resto è volume, ma di assoluta qualità: antagonisti e linee narrative ancora ansiose di essere sviluppate che fanno del primo Spider-Man un maestoso romanzo di formazione.