Nel 1939 Janusz (Jim Sturgess), un tenente dell'esercito polacco, è accusato di spionaggio e condannato a 25 anni di lavori forzati presso un gulag siberiano, dopo aver visto la propria moglie costretta ad accusarlo. La vita in Siberia è estrema, le condizioni in cui è costretto a sopravvivere tali da rendere impossibile sperare di giungere alla fine della pena. Per questo, assieme ad altri sei carcerati di varia nazionalità , organizza l'evasione dal gulag. È il 1941, assieme ai suoi compagni Janusz si avventura in una disperata fuga, che li porta a percorrere migliaia di chilometri, attraversando la Siberia fino al confine con la Mongolia e oltre, attraverso il deserto del Gobi, fino ad arrivare in India nel 1942, dopo aver affrontato fame, gelo, malattie e la morte di diversi compagni. Ispirato ad una storia vera, così straordinaria da risultare incredibile, The Way Back è un film che si presenta allo spettatore come uno strano mix tra un film drammatico e un documentario di viaggio – non a caso co-prodotto da National Geographic. Se infatti la storia raccontata da Peter Weir trova sicuramente nei suoi aspetti umani l’origine dell’azione e l’empatia che si sviluppa con i personaggi, è la grandiosità dell’Asia a farla da padrona sul grande schermo, fra la tundra e le foreste siberiane, la dolente e mortale vastità del deserto del Gobi, la maestosità della catena dell’Himalaya. Lo splendore dei contesti in cui si svolge l’azione non deve distrarre dall’incredibile dramma vissuto da un gruppo di personaggi molto ben caratterizzati e portati sullo schermo da un cast di tutto rispetto, che annovera, accanto a Sturgess, un ottimo Colin Farrell, Ed Harris, Mark Strong e la giovane Soirse Ronan. Il film non è scevro di difetti, sia chiaro: la narrazione molto dilatata nella parte iniziale e centrale induce a temere il peso dei 128 minuti, salvo poi contrarsi eccessivamente sul finale, che risulta così un po’ tirato via a dispetto di un contenuto che, seppur scontato e in parte retorico, non avrebbe mancato di emozionare. Tuttavia, la qualità delle interpretazioni degli attori, soprattutto Farrell e Harris, la spettacolarità ed efficacia descrittiva delle immagini da un punto di vista paesaggistico, l’intensità delle sensazioni fisiche che il film trasmette - lasciando intuire allo spettatore quanto patito dai protagonisti sullo schermo - portano a caldeggiarne la visione in sala. Meglio se con una borraccia a portata di mano.