«Questo è il diario di Abraham Lincoln» sono le parole che, in calce, danno il via all’avventura pastiche descritta dallo scrittore e sceneggiatore Seth Grahame-Smith nel romanzo Abraham Lincoln: Vampire Hunter. Dopo Orgoglio e pregiudizio e zombies, dove univa il classico di Jane Austen con la moda degli zombie, lo sceneggiatore di Dark Shadows decide di creare una miscela scoppiettante di racconto storico e fantasy, costruendo una biografia affascinante e credibile su uno dei presidenti più amati della storia americana che, a duecento anni dalla sua nascita, si ritrova a vestire gli stravaganti panni di cacciatore di vampiri. Affascinato dal contesto e di certo non nuovo alla seduzione dei non-morti, il regista Timur Bekmambetov accetta di portare sul grande schermo il romanzo di Grahame-Smith, grazie anche all'aiuto dell'amico Tim Burton, qui in vesti di produttore. Abe (Benjamin Walker) ha subìto il trauma di vedersi portare via l’adorata madre da una losca creatura della notte. Assetato di vendetta, il giovane, cercando l’assassino, si imbatte in Henry Sturgess (Dominic Cooper), misterioso individuo che gli insegna come combattere e uccidere i vampiri. Abe comincia così un lungo addestramento che, al di là delle prove fisiche, lo mette di fronte anche alla consapevolezza di diffidare di chiunque. Con la sua fedele ascia arricchita d’argento, ben presto Abe diventa il carnefice dei tanti vampiri che popolano la nascente Springfield: questo però non gli impedisce di innamorarsi della bella Mary Todd (Mary Elizabeth Winstead), ufficiosamente impegnata con Stephen Douglas (Alan Tudyk), senatore che propugna la difesa della schiavitù. Sarà proprio quest’ultimo il tema portante dell’esistenza di Abraham “Abe” Lincoln: fautore della tesi «tutti gli uomini sono stati creati liberi e uguali» il futuro presidente dovrà vedersela con Adam (Rufus Sewell), vampiro millenario che, come molti suoi simili, vede nella schiavitù un metodo semplice per trovare cibo. Grazie all’aiuto dei fedeli amici Speed (Jimmi Simpson) e William (Anthony Mackie) Abraham Lincoln si prepara a modificare per sempre il volto dell’America e della società moderna. Veri e propri protagonisti dell’arte contemporanea – letteratura, cinema, televisione – i non morti tanto amati da Polidori e Stoker tornano al cinema in un’inedita rilettura storica del patriottismo americano. Svestiti i panni dandy e malinconici dell’estetica lanciata dalla talentuosa Anne Rice, i vampiri che Bekmambetov porta sul grande schermo sono – finalmente – riportati alle loro origini animalesche, fatte di un forte istinto alla sopravvivenza, del desiderio spasmodico di sangue e della convinzione di essere estremamente superiori ai fragili esseri umani. In questo recupero quasi folkloristico va ricercato l’elemento più riuscito di un film che mescola diversi generi, senza sceglierne uno privilegiato. Il risultato è un roboante spettacolo visivo, arricchito da un 3D nativo di buon livello e da scelte registiche - ralenty e accelerazioni già viste in Wanted, film che ha lanciato il regista nell’olimpo hollywoodiano – che non smettono di divertire lo spettatore, coinvolto in improbabili corse di cavalli, inseguimenti al cardiopalma sul tetto di un treno in corsa e sequenze action dal retrogusto rock - merito di una buona, seppur non indimenticabile, colonna sonora. Nonostante questo, l’empatia tra attori e destinatari della diegesi rimane come sospesa a metà, anche per via di una sceneggiatura priva della verve che invece accompagna la lettura del romanzo. La vendetta di Abe, che dà il via al leitmotiv della pellicola, alla fine decade non tanto per un bene superiore, quanto per il desiderio di Henry di vendicarsi a sua volta dei torti subiti. La parabola evolutiva dell’eroe risponde ad uno schema ben preciso e già visto in molti capisaldi della cultura mainstream, come la trilogia di Spiderman di Sam Raimi o quella del Batman di Nolan. Alla scoperta del talento e all’addestramento volto a svilupparlo, segue il desiderio di vendetta per poi sfociare nella necessità sociale e morale di puntare ad un obiettivo più nobile. Tutto questo nel film di Bekmambetov viene condensato in un minutaggio che non consente il giusto approfondimento psicologico, lasciando infine la stessa sensazione di aver assistito ad uno affascinante spettacolo pirotecnico: proprio come i fuochi d’artificio, svanisce istantaneamente nel cielo notturno, lasciando agli astanti soltanto una nuvola di fumo.