La trilogia è diventata la nuova unità di misura cinematografica per sviluppare adeguatamente le profondità drammaturgiche di una storia, la sua complessità contestuale, i poliedri e le antinomie caratteriali di personaggi inghiottiti da atmosfere cupe e gradazioni di realismo progressiste e catastrofiche. E se il mantenimento di un livello di tensione e attrazione fruitiva è retaggio di pochi esempi recenti, ad oggi le saghe trilogiche garantiscono una cura dei dettagli e una complessità narrativa sempre più difficili da cogliere in tempi in cui il relativismo è diventato religione. Christopher Nolan approda al capitolo conclusivo della saga dedicata al Cavaliere Oscuro attraverso le intuizioni che ne sancirono il clamoroso successo di botteghino e critica dei precedenti episodi. Dopo la sorprendente scelta di Heath Ledger come Joker in The Dark Knight, il regista britannico riprende la formula della nemesi dell’eroe come tema portante del racconto, ma allaccia la comparsa del personaggio antagonista agli eventi narrati in Batman Begins, attraverso sotterranee connessioni credute seppellite per sempre, e pronte a riemergere, col ritmo incessante di palpiti viscerali, dalle profondità abissali di terrore e violenza.
Nella memoria dei cittadini di Gotham, il giustiziere mascherato conosciuto come Batman, unico in grado di diffondere il panico nelle trame della malavita della città , è considerato un fuorilegge e un fuggitivo, dalla notte in cui egli stesso si prese la responsabilità della morte di Harvey Dent. Consegnata così ai posteri una reputazione di integrità morale impeccabile attraverso una verità falsata, Dent diventa l’esempio di probità da seguire, Batman ufficialmente perseguibile dalla legge e Bruce Wayne un reietto relegato nell’oscurità delle stanze della sua tenuta, scavato dalla dilaniante solitudine della colpa e dei rimorsi del passato. Ma dopo gli otto anni di sicurezza e pacifico benessere trascorsi dalla tragica notte dell’assassinio dell’ex procuratore distrettuale, un nuovo male sembra essere maturato dalle ceneri del fuoco purificatore della menzogna, e un terrorista dalla violenza inaudita è pronto a mettere in atto il suo piano di distruzione e devastazione della città di Gotham, con la sua corruzione, la sua agiatezza appannaggio dei pochi, le sue fragili verità . Bruce Wayne crede che il ritorno del Cavaliere Oscuro sia l’unica soluzione per contrastare la rigenerata attività criminosa. Ma potrebbe anche sbagliarsi, e il buio del baratro sull’orlo del quale combattere cela la disfatta, la rovina e il fallimento.
Già l’eccentrico Joker, attraverso gli inafferrabili strumenti della minaccia e del raggiro, aveva tentato di minare gli equilibri civici e mistificatori della società , e giungere al disvelamento del vero volto che ogni singolo cittadino – dal sindaco al barbone, dal mafioso all’eroe – nasconde. Allo sfigurato agente di morte, caos e subdola moralità , subentra la forza e la possanza devastante, volta alla distruzione delle colonne che sorreggono le moderne strutture capitalistiche, e di conseguenza, al crollo degli squilibri economici e dei suoi rugginosi cardini saldati col potere monetario. Nello scenario attuale di apocalisse metropolitano di Gotham City, si assiste all’erezione di nuovi tribunali giuridici che processano i detentori del potere e i plutocrati di una collettività (s)cavalcata dalle orde vandaliche di Bane, tra guerriglie sanguinarie e moti rivoluzionari. Una frammentazione che diventa metafora della lacerazione dell’uomo contemporaneo di fronte all’instabilità dei concetti di sicurezza pubblica, civiltà , equità , moralità , incapace di interpretare il proprio ruolo sociale, nel bene o nel male, a viso scoperto, ma sempre e solo dietro una maschera – quella della cieca pulizia etica di Ras’al Ghul, lo slavato trucco del Joker, la furia ansante di Bane, il camuffamento notturno del Cavaliere Oscuro.
Nel pozzo vorticoso di vendette e regolamenti di conti, missioni da compiere o da portare a termine, la punizione e la debacle dell’eroe diventa, in The Dark Knight Rises, liberazione populistica – a dire il vero un po’ approssimativa e pressappochista – dall’oppressione di un mondo di falsità propagate per un mal riposto sentimento di giustizia e di pacifica connivenza. Con la premura e l'urgenza che si avvertono nel riordinare i bagagli alla fine di un lungo viaggio, Nolan sigilla con piglio frettoloso e talvolta poco accurato l’epocale trasposizione contemporanea del supereroe della DC, attraverso la struttura già largamente collaudata nella sua più recente filmografia, in cui i ritmi serrati - comunque sempre esaltanti - della narrazione e le corse contro il tempo vanno di pari passo con spettacolari esplosioni dinamitarde e psicologiche. La colonna sonora di Hans Zimmer condensa la liricità emotiva di Batman Begins con le frenesie elettroniche di The Dark Knight, e nel tentare qualche sprazzo cromatico di rinnovato e più tragico sentore, finisce col volgerli epicamente nei rassicuranti e ben noti temi della saga. Così come la prevedibilità di alcune rivelazioni – rivoluzioni – e risoluzioni diventa, in questo atto conclusivo, il respiro generale per accorpare le diverse correnti e i differenti fluidi umorali dei due capitoli precedenti.