Si nasce con un’identità approssimativa e poi, nel corso degli anni, la si trasforma continuamente arricchendola con le esperienze. Finché, semplicemente, le si dà una forma definitiva. Federico Brugia, rinomato regista di spot pubblicitari, inaugura il suo avvento sul grande schermo con una pellicola drammatica e intensa, la storia di un moderno Mattia Pascal che rinuncia alla propria identità per dedicarsi a vivere altre vite. X era un marito fedele, un padre modello, un uomo felice. Quando la situazione, improvvisamente, si complica e diventa difficilmente gestibile, egli decide di cambiare vita. Finge di morire e si costruisce una serie di false identità da cambiare a seconda delle esigenze. In questo modo, senza più alcun legame emotivo, X diventa un “corriere della prostituzione”, un trasportatore di ragazze orfane dall’Est europeo fino al confine, dove, in mano a una banda criminale, diventano venditrici di sesso di alto bordo. Col tempo, l'uomo diviene freddo e glaciale che parla poco e non si lascia coinvolgere da emozioni umane. Quando incontra Nora, una ragazza pura e indifesa, però, i suoi ricordi dolorosi si risvegliano e lo portano a rievocare la sua giovinezza felice e a ricordare quando, uno spensierato giovane uomo pensava che nel mondo ci fosse ancora posto per l’amore. Un paesaggio innevato, un vento gelido, una terra straniera. Occhi curiosi che scrutano ogni particolare, cercando di catturarlo, di memorizzarlo, di capirlo. Nora è una ragazza semplice e pura, che non ha la minima idea del destino che l'aspetta. X se ne accorge e, davanti all’autenticità della giovane, ripensa a sua figlia adolescente, alla sua bellissima moglie, alla vita di uomo comune volontariamente abbandonata e rinnegata. Flashback amari irrompono prepotentemente nella realtà arida e scostante, ridestando il protagonista dal sonno in cui aveva rinchiuso la sua anima. La fotografia patinata e uniforme si sposa perfettamente ai rumori di sottofondo, mormorii involontari che scuotono il silenzio assordante che avvolge l’uomo. Tra passato e presente, moralità e ingiustizia, sentimenti e privazione, si intrecciano le storie di un uomo che ha scelto di “esistere ma non di esserci”. Bravissimo il suo interprete, Sebastiano Filocamo, capace di esprimersi soltanto attraverso una ponderata mimica facciale, rinunciando, quasi del tutto, all’uso della parola. Nonostante la voce angelica di Malika Ayane – che accompagna il cambiamento interiore del protagonista - e la dolcezza della giovane Orsi Toth, Tutti i rumori del mare sembra una storia interrotta, un romanzo incompiuto, un (altra) vita spezzata. Sorta di noir esistenziale e psicologico dalle atmosfere rarefatte, smarrisce il percorso inizialmente intrapreso, fermandosi troppo spesso a mostrare la dura realtà delle organizzazioni criminali, le logiche interne dei clan rivali e la povertà di valori dei loro membri. Il finale, che non è spiazzante come avrebbe dovuto, finisce, suo malgrado, per svelare quell’atmosfera artefatta che cercava di nascondere. "Niente riempie quello che manca e niente ti restituisce quello che hai perso".