11 Settembre 2001, una data che si è stagliata come una profonda cicatrice sul volto della storia contemporanea. L’attacco alle Torri Gemelle di New York ha senza dubbio rimodellato nuove coscienze socio-politiche. Più di tutto, la tragedia del World Trade Center ha creato una sorta di punto zero fra un prima e un dopo. Egualmente spaccato a metà , diviso tra fondamentalismo e avanguardia, il protagonista di The Reluctant Fundamentalist è un pakistano che per gran parte della sua vita ha inseguito il sogno americano. Figlio di un poeta fortemente ancorato alle tradizioni del suo popolo, Changez (Riz Ahmed) sogna al contrario una vita di successo nella Grande Mela. Iscritto a Princeton, uno dei college dell’Ivy League dell’istruzione americana, Changez entrerà a far parte della scuderia di Jim (Kiefer Sutherland), pezzo grosso della finanza a stelle e strisce che vede nel ragazzo un grande potenziale. In un altro snodo temporale, lo stesso Changez è tornato nel suo paese natale ed è diventato un docente universitario. Qui incontra un giornalista (Liev Schreiber), al quale racconta la sua storia di speranze e di illusioni, fino al tramonto dell’American Dream, crollato sotto le macerie dell'undici settembre. Scelto come film d’apertura per la 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, The Reluctant Fundamentalist riporta la regista Mira Nair sulla laguna dopo averla incoronata nel 2001 per Moonsoon Wedding. Uscito dai radar il progetto Shantaram – che si attende da anni – la regista indiana realizza la trasposizione del libro di Mohsin Hamid, un thriller che tenta di analizzare, tra i tanti temi trattati, il terreno scivoloso del relativismo percettivo sociologico. Il punto nevralgico della narrazione è da ricercare nei differenti modi di Changez di rapportarsi all’America. La prima parte del film è piena di quella genuina fiducia che caratterizza la gioventù; alla spensieratezza si aggiunge anche la liason sentimentale con Erica, problematica fotografa interpretata da una Kate Hudson poco credibile nei panni di una ventenne in lutto. La seconda parte, invece, che inizia con le immagini perturbanti dell’attacco, segna una repentina – sebbene non originale – inversione di prospettiva. Non è più Changez a guardare all’America con occhi pieni d’amore. Ora sono gli Stati Uniti a guardare con odio e sospetto al ragazzo musulmano. Il punto non è chi siamo, ma come appariamo agli altri: «Le apparenze sono ingannevoli» dirà al suo intervistatore. Ecco allora che il ragazzo è costretto a lasciare tutto, compresa la sua fidanzata. Probabilmente proprio nell’interpretazione della Hudson si può ritrovare il punto debole di una pellicola che di certo non rimane impressa nella mente o nel cuore. La storia d’amore tra i due protagonisti, che dovrebbe rappresentare il momento di maggior empatia, risulta al contrario insipida e banale, anche per via di una mancanza di chimica tra i due protagonisti, che vede nella controparte femminile l’anello debole della coppia. Al contrario Ahmed riesce ad infondere un certo spessore al suo personaggio, tanto da rendere il pubblico – anche quello che dopo l’attacco alle Twin Towers vedeva in ogni musulmano un possibile terrorista – sensibile alle sue disavventure. La colpa della regista è stata quella di non spingersi oltre e di rimanere nel territorio arido di chi non ha il coraggio di osare.