Emily (Kathryn McCormick), figlia di un ricco imprenditore senza scrupoli di Miami, Bill Anderson (Peter Gallagher), sogna di diventare una ballerina, e quando incontra Sean (Ryan Guzman), un ragazzo di umili origini che lavora in uno degli hotel di suo padre, se ne innamora e viene a contatto con la crew con la quale Sean organizza degli spettacolari flash-mob. La storia d'amore tra Emily e Sean però è costellata di ostacoli: primo fra tutti, il padre di lei, che ne ostacola la relazione, tutti i loro sogni, e l'approdo al prestigioso concorso di ballo che porterà i due ragazzi ad impegnarsi per qualcosa di davvero importante. Ennesimo capitolo della saga di ballo che appassiona il mondo giovanile. Stavolta il regista è Scott Speer, un passato di video musicali per teen-idol come Paris Hilton e Ashley Tisdale. Cambiano i protagonisti, resta pressoché invariata la vicenda: lui di estrazione popolare, lei alto-borghese, lui lavora nel grand hotel del padre di lei e nel tempo libero balla in una crew, lei vuole entrare a farne parte; il cattivissimo padre, imprenditore spietato, minaccia la felicità dei due innamorati, ma la forza del ballo e dell’amore vincerà ogni ostacolo. Nonostante lo sforzo di cucire una trama anche solo apparentemente diversa dalle pellicole precedenti, la sceneggiatura di Shankman e Gibgot è una copia degli altri tre film. Nessuno avrebbe pensato mai di dirlo, ma il quarto Step Up fa rimpiangere i suoi predecessori. Se nel primo episodio bastava almeno la buona presenza di Channing Tatum e di Jenna Dewan a riempire i vuoti narrativi e negli altri film della serie continuava ad esistere un - anche minimo - accenno al mondo del ballo di strada, ormai la produzione si limita a realizzare non lungometraggi, ma estesi videoclip. Diretti da registi-coreografi, interpretati da ballerini e da attori provenienti per lo più da video musicali e telefilm, a fare il successo della saga sono per lo più le colonne sonore. L'aver diretto un lungo video musicale spacciandolo per film, non è tuttavia il peggior difetto della regia di Speer. Ad essere insopportabile è l'inserzione, in un innocuo film di ballo, del tema politico-militante, stiracchiato e strapazzato fino a perdere qualunque significato. La danza, dopo aver sconfitto le divisioni razziali, le differenze di ceto e di genere, qui diventa lo strumento di protesta contro la prepotenza imprenditoriale. Sfruttando il fenomeno dei mobs - mobilitazioni di massa che si accompagnano a grandi proteste, come gli Occupy - Speer riduce le manifestazioni contro il capitalismo a sfondo per i suoi stacchetti danzati. Il patetico tentativo di elevare il genere, finisce per assomigliare all'ultima spiaggia disponibile per vivacizzare un ciclo che, anche se di poche pretese e indirizzato ai giovanissimi, a sei anni dal primo film ha stancato abbondantemente. Bisogna capire a cosa si riferisca il Revolution sbandierato nel titolo, visto che di rivoluzionario la pellicola di Speer ha ben poco.