
Jackie Cogan (Brad Pitt), killer spietato che lavora su commissione, è assoldato dalla mafia per indagare su una rapina messa in atto da tre piccoli criminali durante una partita di poker in una bisca, per capire chi c’è dietro la rapina, riconsegnare il bottino alla criminalità organizzata e ristabilire l’ordine economico e gerarchico all’interno della malavita. Dialoghi brillanti e un ottimo impianto tecnico per il nuovo film di Andrew Dominik che a cinque anni di distanza da L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, ritorna al cinema con un’altra impresa di matrice letteraria: la trasposizione sul grande schermo di Cogan's Trade, crime novel di George V. Higgins del 1974. Dominik si mostra ancora una volta un regista estremamente abile nel tramutare in immagini le parole, mantenendo la struttura dei romanzi a cui si ispira e scrivendo copioni fedelissimi al testo di partenza. Su questi presupposti non appare poi così difficile gestire agilmente persino una trama complessa come quella di Cogan - Killing Them Softly, che attualizza l’opera di Higgins nell’America in pre-crisi economica, nel delicato passaggio presidenziale tra Bush e Obama. Un film atipico, una crime story dove la vicenda mafiosa è semplificata per lasciare spazio ad uno pseudo-thriller economico, con un’intenzione didattica fin troppo evidente. Il parallelismo tra le dinamiche malavitose e la mafia dei trust e del capitalismo conduce ad una morale pessimistica in cui gli Stati Uniti della crisi trovano piena rappresentazione nell’allegoria dell’organizzazione criminale a rischio collasso economico, dove le gerarchie non sono più chiare e ogni singolo membro è disperso. La tesi è coraggiosa, ma nessuno dei colpi lanciati da Dominik finisce veramente a segno e il risultato è una pellicola ibrida, solo superficialmente sviluppata. Almeno due generi nel film finiscono per cozzare: il gangster movie, che necessiterebbe di meno verbosità e più azione, e la riflessione sociale, troppo poco profonda per essere incisiva. Le speculazioni sulla crisi americana e sulla società in declino – significativamente ritratta in periodo di bombardamento mediatico da elezioni - seppur interessanti, risultano inadatte per un film teoricamente d’azione, in realtà lento e particolarmente privo di pathos. Anche se si rivela originale la costruzione della lotta per il potere, dipingendo i rapporti mafiosi come gerarchie controllate dalla legge del denaro, Cogan appare dalla prima mezz’ora una pellicola priva di verve e finisce per assomigliare ben presto più ad un thriller bancario che ad una storia criminale. Degna di nota l’ambientazione in Lousiana, così come alcune sequenze - quella del pestaggio sotto la pioggia o quelle in auto - e certi dialoghi particolarmente acuti, in cui si scorge la contaminazione del cinema di Dominik, pulito e quasi classico, con una vena postmoderna alla Tarantino. Ma è soprattutto il tono a tratti retorico a stridere con il cinema cui si ispira e con una solo accennata vocazione al pulp e all’azione. Brad Pitt – per la seconda volta con Dominik – anche nel personaggio invero poco originale e talvolta ripetitivo dell’assassino dolce a sangue freddo, si mostra degno di stare al centro della scena. Più interessanti sono i personaggi di Russel il selvaggio, o Mickey, rispettivamente due buone prove di Ben Mendelsohn e James Gandolfini.