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Possession

12/10/2012 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Possession

Tra i suoi tanti film scandalo, è forse il titolo più famoso e venerato...

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Tra i suoi tanti film scandalo, è forse il titolo più famoso e venerato. Siamo nel 1981 e Andrzej Żuławski, reduce da diversi problemi nella sua terra natia - la Polonia - per la realizzazione poi fallita di Il Globo d'argento a causa di dissidi con le autorità nazionali, torna in Francia a sei anni da L'importante è amare. Realizza un vero e proprio cult del genere horror, ennesima pellicola shock dell'autore, tanto da essere vietata in diversi paesi ai minori di 18 anni e di cui esistono più versioni sforbiciate dalla censura (la durata originale è quella di 127 minuti), che deve parte del suo successo anche al nostro mago degli effetti speciali Carlo Rambaldi, che per l'occasione ha realizzato la disturbante creatura che si insinua nel quieto vivere dei due protagonisti.


Berlino. Mark (Sam Neill) e Anna (Isabelle Adjani) sono sposati da anni e hanno un figlio piccolo. Un giorno l'uomo scopre l'infedeltà della moglie, e decide di indagare mettendole alle calcagna una coppia di investigatori. Ma ben presto Mark scoprirà che il suo vero "nemico" non è l'amante della donna, un playboy di mezz'età, bensì qualcosa di misterioso e inquietante, che porta Anna a continui e immotivati scatti di rabbia e gesti masochistici. Il nuovo oggetto della passione di Anna infatti è una creatura non umana, partorita forse da lei stessa, e col quale vive in un appartamento della periferia cittadina. Per Mark è solo l'inizio di un inquietante incubo.


Macabro, morboso, provocante. Possession è un ibrido di cinema dell'orrore e dramma psicologico, sorretto magnificamente dalle prestazioni dei suoi interpreti. E se Neill, un decennio prima di salire alla fama mondiale con Jurassic Park, offre una prova per certi versi precorritrice di quella carpenteriana ne Il seme della follia, è una straordinaria e bellissima Isabelle Adjani a dare anima e corpo all'ossessione in continuo bilico tra reale e immaginario, tra follia e perversione, con una delle scene di possessione più agghiaccianti dell'intera storia di genere, in cui - senza l'ausilio di effetti speciali - nel sudiciume di una lugubre metropoli, l'attrice francese offre una scena di innata e impareggiabile potenza emotiva. Zulawski è abilmente perfido nel raccontare questa discesa nell'abisso interiore, un'atavica lotta tra il bene e il male in chiave grottesca che non disdegna però risvolti sociali, un visionario viaggio nei recessi dell'inconscio che tocca il suo apice negli ultimi, intensissimi minuti, con figure che si sdoppiano e ritornano negli antri infernali in un'orgia di sangue e dolore. La ripugnante creatura plasmata da Rambaldi, un'inquietante e viscido mostro polipoide, è in grado di rimanere a lungo negli incubi dello spettatore, protagonista di sequenze memorabili, come il rivoltante rapporto sessuale con la Adjani. Un'opera scomoda, ma immancabile per chi si ritiene un amante del cinema horror di serie A.


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