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Paris-Manhattan

22/10/2012 10:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Paris-Manhattan

Alice (Alice Taglioni) è una farmacista sognatrice che parla con il suo poster di Woody Allen come dallo psicanalista, e aspetta da tempo immemore l'arrivo del

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Alice (Alice Taglioni) è una farmacista sognatrice che parla con il suo poster di Woody Allen come dallo psicanalista, e aspetta da tempo immemore l'arrivo del principe azzurro, con grande preoccupazione della famiglia. Quando incontrerà Victor (Patrick Bruel), cinico e disilluso, l'amore le arriverà fra capo e collo e Alice si renderà conto che è un po' diverso da come se l'era sempre immaginato.


Nell'anno della prima celebrazione cinematografica ufficiale di Woody Allen, il docufilm Woody di Robert B. Weide, una commedia francese rende omaggio al lato più romantico del genio newyorkese. Sophie Lellouche esordisce alla regia cinematografica con una pellicola sentimentale e delicata, così ingenua e fuori dal tempo come non se ne vedevano oltralpe da Il tempo delle mele. Alice, protagonista deliziosa ed estemporanea, ha il bel volto di Alice Taglioni, attrice poco nota in Italia ma quasi un'istituzione in Francia; come il suo principe azzurro, il sarcastico Victor alias Patrick Bruel, già noto per aver recitato ne Le prénom. L'incontro dei due, sotto il vigile sguardo di Woody, guida spirituale della protagonista del film così come della sua regista, costruisce una trama semplice, poco innovativa. Un esordio cauto ma riuscito.


La vicenda sentimentale non è originale, ma a nessuno sfuggirà l'equivalenza netta con Provaci ancora Sam!: sono passati quarant'anni esatti da quando il povero Sam parlava sul divano di casa sua con Humphrey Bogart e ora, nel 2012, quella presenza da idolatrare è proprio lui, Allen, un cammeo che arricchisce un film discepolare, in senso stretto. Eppure c'è da dire che Sophie Lellouche non manca del tutto di inventiva e nemmeno di una visione artistica autonoma, permeata di tanto Woody Allen - dalle origini ebree della protagonista ai dialoghi compulsivi, fino alle situazioni surreali - quanto del migliore cinema francese del passato. La Parigi rappresentata sullo schermo ad esempio, è costruita come una perfetta quinta romantica, con citazioni ovunque - nei viali autunnali e nelle passeggiate fianco a fianco dei due protagonisti – ma con uno sguardo che è pur sempre quello elegante e delicato della regista. Anche nella sceneggiatura, che pure è un riveduto omaggio alla filmografia alleniana, le idee di fondo rimangono della Lellouche. Come la rappresentazione della natura sognatrice di ogni donna, l'oscillazione fra tutto ciò che è solo desiderato e quello che invece già esiste, la difficoltà a coordinare sogni e realtà nei rapporti di coppia. Un'impalcatura omaggiante, quella di Paris-Manhattan, che cela al suo interno qualche contenuto originale e soprattutto una resa artistica che tradisce l'occhio delicato e sognatore di un cinema femminile, meno intellettuale di quello del regista newyorkese ma molto francese per sguardo, ironia e romanticismo.


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