Alessandro Capone ci porta nella Sardegna più esclusiva della Costa Smeralda con lo scanzonato E io non pago, una commedia corale che si ripromette di affrontare con ironia la spinosa questione della crisi economica presentando una sequela di personaggi, per la maggior parte evasori fiscali, alle prese con festini in discoteca e belle ragazze in abiti succinti. Il maresciallo Remo Signorelli (Maurizio Mattioli) ed il brigadiere Riccardo Riva (Maurizio Casagrande) sbarcano in Sardegna per fare piazza pulita degli evasori della zona con un maxi bliz. Qui Remo incontra dopo trent’anni un amico di gioventù, Fulvio (Jerry Calà ), che ora gestisce un locale rinomato frequentato da personaggi poco raccomandabili come il commercialista Massimiliano Grilli (Enzo Salvi) che si occupa di far sparire le ingenti somme di denaro dei suoi clienti all’estero. Riuscirà il maresciallo a tradire Fulvio, l’amico di un tempo ora coinvolto nel giro di evasioni fiscali, o i buoni sentimenti avranno alla fine la meglio? L’Italia dei furbetti, cosi recita il sottotitolo del film, è un luogo incantevole in cui lo champagne scorre a fiumi ed il caviale si mangia a merenda, un’isola felice dove le donne sono tutte bellissime e le fatture non si sa nemmeno cosa siano. È il territorio in cui il personaggio di Enzo Salvi si muove alla luce del sole senza temere di essere fermato dalla giustizia: tutti i suoi movimenti loschi, infatti, vengono memorizzati nella mente geniale dell’eccentrico assistente (Adolfo Margiotta) senza lasciare alcuna traccia. Salvi mantiene la volgarità dei suoi personaggi e la mette al servizio della storia dipingendo in modo credibile lo stereotipo dell’uomo di malaffare a cui la cronaca quotidiana ci ha ormai abituato. Ottima l’interazione col resto degli attori tra cui spiccano Jerry Calà , evasore si, ma con cuore, e la coppia Mattioli/Casagrande: i due finanzieri sono protagonisti dei siparietti più divertenti della pellicola (la scena del rito buddista notturno di Casagrande ai danni di Mattioli è davvero esilarante), e per questo era doveroso ritagliargli maggiore spazio. Leggermente forzato e fuori luogo, ma denso di pathos, il confronto tra il maresciallo Signorelli e Fulvio in cui Calà dà prova di essere un attore drammatico di tutto rispetto e poco sfruttato dal nostro cinema. Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, il film di Capone risulta un polpettone che sa di già visto, superato dalla stessa realtà che cerca di denunciare, ben più grottesca della finzione cinematografica. Se sceneggiatura e regia non brillano per originalità creativa, va peggio dalle parti della recitazione dei comprimari: il dialetto sardo di Valeria Marini con tanto di sottotitoli, ed il pianto disperato dell’estetista Cosetta Turco tra le braccia di Casagrande rappresentano i punti più bassi del film. Bravo Benito Urgu nel ruolo del pastore autoctono raggirato da Grilli; peccato sia relegato a poche sequenze che, pensate per far ridere, sprigionano, invece, una tristezza infinita.