L'agente dell'Interpol Louis Salinger (Clive Owen) indaga insieme a Eleanor Withman (Naomi Watts), assistente del procuratore distrettuale di New York, sul coinvolgimento di una grande banca di Lussemburgo nei traffici illeciti di armi e in attività terroristiche. Mentre Louis ed Eleanor seguiranno per Stati Uniti ed Europa le tracce che li conducono al bandolo della matassa, alcuni omicidi sospetti faranno comprendere ai due agenti quanto pericolosa sia la loro missione. La prima domanda che sorge spontanea è perché nemmeno la presenza di Clive Owen, attore perfetto - per fisicità e interpretazione - per la spy story, possa essere sufficiente a vivacizzare una pellicola su cui la produzione aveva tanto investito e che si era aggiudicata persino l'apertura della Berlinale 2009. Ma se l'attore inglese non era riuscito a conquistare il pubblico in Figli degli uomini, pellicola sottovalutata e molto più interessante di questa, qui l'impresa sembra davvero impossibile, anche se affiancato da una ineffabile Naomi Watts. Eppure The International le carte vincenti le aveva tutte: ottimo cast, scrittura frutto di una lunga lavorazione (con alcune idee valide in materia di politica e storia contemporanea), budget corposo, un set spostato in giro per il mondo - tra NY, Berlino, Istanbul e Milano. Tim Tykwer, regista del meraviglioso Profumo – Storia di un assassino, gira un thriller di spionaggio dimenticandosi dell'elemento suspence, e al contrario si dilunga in un infinito dialogare sui sistemi bancari, sulla corruzione politica e delle forze dell’ordine, dove tra l’altro è notevole il pessimo ritratto che ne esce dell’Italia. La prolungata verbosità e il piacere per il dettaglio forense porta il regista a dimenticare il ritmo, elemento fondamentale in una pellicola che, seppure ambiziosa, rimane sempre una versione diluita di Mission Impossible e 007. A questo si aggiunga che in un film come The International non ci si aspettava la denuncia sociale, ma certo è che dal momento che si citano problemi politici e si accenna – persino profeticamente – ad una crisi planetaria, un tentativo di rifuggire semplificazioni e generalizzazioni sarebbe stato gradito. Invece lo sguardo di Tykwer si sposta di luogo in luogo con un fare didascalico che cristalizza ogni città ed ogni personaggio in categorie fisse, dal poliziotto corrotto alla rappresentazione stereotipata della Turchia, della Francia, dell'Italia. Nemmeno sul finale allo spettatore viene concessa una soddisfazione, preferendo il più banale degli ending a soluzioni cinematograficamente più ingegnose. Fatta eccezione per alcune sequenze - come la sparatoria al Guggenheim, interamente ricreato in un teatro di posa - The International è il colpo mancato di un regista che in più occasioni, in passato, aveva mostrato guizzi creativi e che qui, invece, non riesce ad imprimere quel po’ di azione auspicabile in una pellicola del genere.