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Venuto al mondo

06/11/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Venuto al mondo

Era il 2004 quando Sergio Castellitto presentava, a Cannes, Non ti muovere, film tratto dal romanzo omonimo di Margaret Mazzantini...

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Era il 2004 quando Sergio Castellitto presentava, a Cannes, Non ti muovere, film tratto dal romanzo omonimo di Margaret Mazzantini. A otto anni da quel primo sodalizio artistico, arriva ora nelle sale Venuto al mondo, nuova pellicola partorita dalla coppia, che ritrova l’attrice Penelope Cruz. Presentato allo scorso festival internazionale del film di Toronto, il film è stato venduto in quasi tutti i paesi con il titolo di Born Twice.


È una luminosa mattina romana quando Gemma (Penelope Cruz) riceve una telefonata che risveglia gli spettri del suo passato. Su consiglio del marito (Sergio Castellitto), Gemma decide di portare suo figlio Pietro (Pietro Castellitto) sulle strade devastate di Sarajevo, su invito del vecchio amico Goyko (Adnan Haskovic). Il viaggio offrirà a Gemma la possibilità di rivivere il proprio passato e la storia d’amore con Diego (Emile Hirsch) sullo sfondo del conflitto bosniaco.


Non un film perfetto: nel suo impianto scenico di stampo teatrale e nel ricorso continuo ai cliché di un genere fortemente stereotipato come quello melodrammatico il nuovo film di Castellitto mostra tutte le sue debolezze. Eppure l’incredibile caparbietà nel rivolgersi alla più istintiva emotività del pubblico rende Born Twice un film viscerale, in grado di insinuarsi tra le pareti del distacco spettatoriale. Dipinto dai toni freddi del cinema di Castellitto, grazie alla fotografia di Gianfilippo Corticelli, la storia ripercorre innumerevoli storie d’amore, di differenti tipi, tutti sacri e tutti in egual modo da difendere. Al centro è la storia d’amore tra Gemma e Diego, cominciata nel 1984 in una Sarajevo innevata ed eccitata dagli imminenti giochi olimpici e poi dispiegatasi lungo anni di sogni e illusioni dorate, infine minata dall’assenza della maternità e dal conflitto serbo-bosniaco. Vera e propria protagonista della vicenda, la città di Sarajevo diventa lo scenario privilegiato della diegesi, dove Castellitto tenta di mettere in scena tutti gli archetipi della condizione umana: vita, morte, guerra, amore, tutti dispiegati su questa città distrutta dall’assedio più longevo della modernità bellica. Una città divisa, nei ricordi di Gemma e in quelli della macchina da presa, spaccata tra passato e presente. Quella che la donna ritrova, a tanti anni di distanza dai primi passi pieni di ingenuità, è una città circondata da cimiteri, disastrata dalle rovine di una cultura e di un popolo ancora feriti. Castellitto si mostra senz’altro avveduto nel non insistere troppo sull’aspetto patetico della guerra e delle sue vittime. Tutto è rappresentato con veloci e potenti pennellate di luce e tenebra, nella rappresentazioni di giovani che resistono per la propria patria, che tentano di riemergere anche dagli aspetti più crudeli e degradanti della razza umana. L’immagine fugace di un invalido che assiste, impotente, all’uccisione del figlio, che rimane bloccato nell’incapacità di abbracciare il corpo senza vita del suo erede si rispecchia alla perfezione nel fotogramma di Gemma che, dopo un ballo pieno di speranze, calpesta il mondo ai suoi piedi, con le mani vuote, private di quel bambino tanto a lungo cercato.


Nell'affresco destabilizzante e potente di un gruppo di personaggi privati dei propri sogni e della vita per come la conoscevano, sopraffatti da maledizioni contro il quale spesso è inutile combattere, Venuto al mondo mostra la sua parte migliore. Se Penelope Cruz rappresenta una garanzia, con il suo pathos e le sue doti che l’hanno resa una delle muse di Almodovar, Emile Hirsch, al suo fianco, dimostra con che grazia riesce sempre a calarsi in personaggi ingenui e pieni di futili illusioni. Proprio come il protagonista di Into The Wild, Diego è un personaggio che non sa affrontare di petto l’aspetto più nero dell’esistenza umana, incapace di rimanere immobile mentre una parte di mondo si vede costretta ad abbassare la testa. Debole e vile, Diego è un personaggio che sulla carta risulterebbe facile detestare: nonostante il suo amore per Gemma, la rappresentazione durante il conflitto delinea un personaggio infedele, bugiardo, codardo. Eppure nei suoi occhi rimane il riflesso di un’infanzia mai superata, di una bontà rara e dunque di difficile concretizzazione. Tuttavia, la vera sorpresa della pellicola è Adnan Haskovic, interprete quasi del tutto sconosciuto nel nostro paese, capace di dar vita al personaggio più riuscito della vicenda. Gojko è un vecchio amico, un amore mancato, un combattente e un poeta; un uomo che non si è mai arreso, che ha messo il bene degli altri avanti al proprio. Sentimenti alti e bassi si mescolano sul volto di Haskovic, che rimane impresso a fuoco negli occhi lucidi dello spettatore.


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