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E la chiamano estate

19/11/2012 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

E la chiamano estate

Dal titolo della canzone di Bruno Martino del 1969, scritta da Franco Califano e interpretata, tra gli altri, anche da Ornella Vanoni e Mina, E la chiamano esta

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Dal titolo della canzone di Bruno Martino del 1969, scritta da Franco Califano e interpretata, tra gli altri, anche da Ornella Vanoni e Mina, E la chiamano estate è il contestatissimo film di Paolo Franchi, vincitore - tra polemiche e fischi - del premio per la miglior regia e per la miglior interpretazione femminile a Isabella Ferrari alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Come nel 2007, quando il regista de La Spettatrice aveva “sconvolto” la vetrina internazionale di Venezia con il film Nessuna qualità agli eroi, accolto negativamente dalla critica, Franchi sembra adesso voler ricalcare lo stesso cammino.


Dino (Jean-Marc Barr) è un quarantenne, sposato con Anna (Isabella Ferrari) con la quale però non riesce ad avere alcun tipo di rapporto sessuale. In compenso, però, Dino ha avventure sessuali con prostitute, scambisti, pazienti dell’ospedale in cui lavora e così via. Ogni uscita si trasforma, per l’anestesista, nella possibilità di copulare e dare sfogo ad un disagio di tipo sessuale. Anna, consapevole delle azioni del marito, passa il tuo tempo sdraiata a letto, in una casa vuota, ad aspettare un amplesso che non arriva mai. Nel frattempo, tra una torbida avventura e la seguente, Dino va alla ricerca degli ex amanti della moglie, alla ricerca di qualcuno che possa per lei vestire i panni dell’amante.


Si sono dette molte cose sulla pellicola di Franchi: che è un film coraggioso, che è un porno soft, che è un film d’autore intrepido e male interpretato. Si sono scomodati i nomi di Steve McQueen e di Michael Fassbender con il loro Shame per cercare di spiegarne il contesto drammaturgico. Ciò che però salta agli occhi è che E la chiamano estate è un film oggettivamente girato male, con un autocompiacimento registico fin troppo palese che, invece di permettere alla storia di avanzare, mina qualsiasi tipo di empatia, facendo in modo che la diegesi si trasformi nel manifesto saccente di un uomo che si sente già arrivato. La fotografia, immersa in un bianco bruciato, spesso si vanta di immagini poco nitide se non completamente fuori fuoco, a cui si accosta una recitazione arida, meccanica, priva di qualsiasi tipo di pathos. Le diverse reiterazioni – una lettera che viene ripetuta per quattro volte, fermi immagini su cui sproloquia la voice over – finiscono con il diventare degli oggetti ridondanti in una pellicola che sembra non essere in grado di riempire il proprio spazio scenico. Il vero punto dolente della pellicola, tuttavia, è da ricercarsi in una sceneggiatura debole e caotica, poco credibile, noiosa e petulante che si fa forte di frasi retoriche trite e ritrite. Risulta evidente che, nelle intenzioni, E la chiamano estate voleva essere un film disturbante, in grado di far trasferire nello spettatore lo stesso disagio presente sulla carta. Il risultato è un ammorbante spettacolo di pseudo autorialità che si perde nell'ostentata fisicità dei protagonisti – inclusi Luca Argentero e Filippo Nigro. Un inutile ed esacerbante voyeurismo che spinge il regista a tagliare fuori dalle inquadrature i volti sofferenti dei protagonisti a favore di nudità più o meno esplicite. Un'opera insulsa che ha il merito di durare solo 89 - lunghissimi - minuti.


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