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L'isola dell'angelo caduto

19/11/2012 12:00

Giuseppe Salvo

Recensione Film,

L'isola dell'angelo caduto

Il nome di Carlo Lucarelli è principalmente associato ad un’attività letteraria e televisiva che lo ha visto, nell’arco degli anni novanta, voce e penna protago

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Il nome di Carlo Lucarelli è principalmente associato ad un’attività letteraria e televisiva che lo ha visto, nell’arco degli anni novanta, voce e penna protagonista del giallo italiano contemporaneo. Romanziere – Almost Blue è diventato un film presentato a Cannes nel 2001 -, sceneggiatore, saggista, autore e conduttore televisivo, Lucarelli ha percorso diverse forme mediatiche per districare i suoi filtri investigativi nelle cupe atmosfere poliziesche del noir e attraverso queste giungere a raccontare le crepe della cronaca investigativa italiana degli ultimi decenni – nel programma serale Blunotte. Per il suo esordio alla regia, intraprende un percorso apparentemente agevole scrivendo l’adattamento cinematografico del suo romanzo di maggior successo L’isola dell’angelo caduto e costruendo la messa in scena attorno a quel Giampiero Morelli già protagonista de L’ispettore Coliandro, serie televisiva diretta dai Manetti Bros. e ideata dallo stesso Lucarelli.


Mentre l’Italia soggiogata dalle catene fasciste assiste all’ascesa di Mussolini, un commissario di polizia viene trasferito con la moglie su un’isola prigione sperduta nel mediterraneo. Dopo un anno dallo sbarco, alcuni singolari avvenimenti animano l’alienante e soporifera monotonia del luogo. Mentre la moglie sembra accusare i primi sintomi di dissennatezza nella reclusione dell’appartamento dal quale non vuole più uscire, uno dopo l’altro vengono rinvenuti i cadaveri degli isolani. Consigliato da Mazzarino, anch’egli prigioniero ma con un passato di studi medici alle spalle, il commissario comincia a guardare con sospetto alla versione ufficiale imposta dai guardiani della colonia penale, fanatici sostenitori del regime fascista che intendono insabbiare le morti con la comoda versione del suicidio. Il commissario deve fare una scelta: abbandonare l’isola per amore della moglie, o scavare a fondo per portare alla luce segreti, maldicenze e oscure verità che tutti i bizzarri abitanti sembrano temere.


Il veterano del noir trasferisce la struttura multiforme del libro dirigendo una pellicola che, come il precedente cartaceo, assorbe suggestioni disparate da generi non proprio attigui, ne mescola le grammatiche con sprazzi di estetica postmoderna senza però possedere la folle visionarietà di un Tarantino, e tenta, sotto la cappa fascista, di ottenebrare l’ambientazione isolana nelle ombre e nelle fosche selve dell'insana deriva psicologica, richiamando - solo nelle intenzioni - Shutter Island di Scorsese. Tuttavia, la mediocrità stilistica dei supporti tecnici racchiude, nei forzati o talvolta ritardati stacchi di montaggio e in un disorientato sonoro che riecheggia atmosfere horror, la generale confusione creativa. L’eclettismo registico di Lucarelli vorrebbe azzardare una commistione di ascendenze gotiche e manuali di investigazione attraverso effetti visivi che, soprattutto nelle rievocazioni mnemoniche e nei climax narrativi, attingono dall’imbastardimento di videoclip e di un estemporaneo gusto fumettistico. L’inscatolamento di questo vorace pastiche translinguistico all’interno del tradizionale contenitore del giallo, imprime alla pellicola un andamento incerto, con ritmi ancorati alla drammaturgia della fiction investigativa italiana e interpretazioni che, a parte le buone prove dei protagonisti (comunque provenienti dal piccolo schermo), scavalcano i confini di credibilità e di gusto. L’impianto scenografico, unico elemento ad attirare una minima attenzione fruitiva, non basta ad assorbire nella fitta bruma e nei meandri notturni della nefanda e lugubre isola le evidenti pecche di una sceneggiatura quasi mai accattivante, che fallisce proprio nell’obiettivo primario - per una pellicola del genere - di creare tensione.


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