Anche i miti invecchiano, pur non smettendo di essere icone. E così ecco Jane Fonda, Gerardine Chaplin, Claude Rich in una commedia sulla terza età, scanzonata ed inoffensiva, diretta dal giovane Stéphane Robelin, al secondo lungometraggio dopo l’esordio nel 2004 con Real Movie. Claude (Claude Rich), Annie (Geraldine Chaplin), Jean (Guy Bedos), Jeanne (Jane Fonda) ed Albert (Pierre Richard), amici di lunga data, hanno trovato una soluzione per fuggire l'invecchiamento triste che si prospetta loro dinnanzi, tra malattia, case di riposo e nipoti indifferenti: andare a convivere tutti insieme in un appartamento comune. Insieme a loro c'è anche Dirk (Daniel Brühl), studente tedesco che prepara la sua tesi di dottorato in etnologia. Oggetto dello studio saranno proprio i cinque anziani amici. E se vivessimo tutti insieme? è un film sulla gioventù di spirito, e su una convivenza non convenzionale: quella fra cinque settantenni e un giovane studente tedesco, Dirk, che, come in un esperimento, prende gli anziani coinquilini come oggetto della sua tesi di studio. E attraverso i giovani occhi di Dirk, Robelin apre il sipario sull'universo della terza età, apparentemente distante ma in realtà popolato ancora di sogni, sentimenti, paure e ovviamente speranze. Nonostante l’occhio “scientifico” di Robelin indaghi profondamente la dimensione senile e il rapporto di essa con una rimpianta giovinezza, è sui toni della commedia che la pellicola talvolta vacilla. Nel desiderio di presentare i suoi personaggi in tutta la vivacità che anche l’autunno della vita può avere, il regista finisce per peccare di un umorismo banale e a tratti davvero poco raffinato. Nel raccontare l’amore o l’erotismo degli anziani protagonisti in particolare il film scade spesso nel più superficiale sentimentalismo, incarnato dalla romantica Jeanne, o in una sbrigativa trivialità. Nell’ostinata contrapposizione di un universo anziano spiccatamente vitalistico e di quello giovanile svogliato e disilluso, il regista si inventa una tesi pretestuosa che vuole proclamare chissà quale indimostrabile cliché sulla giovinezza d'animo. Dove la pellicola di Robelin si mostra un prodotto particolarmente riuscito è nella rappresentazione dei timori della terza età, in particolare l’abbandono - simboleggiato dall’annusato pericolo della casa di riposo - e la malattia, prima fra tutte quella degenerativa - come l’Alzheimer, che colpisce la memoria, ovvero quanto di più caro ci sia in vecchiaia. La soluzione al dramma dell’anzianità appare essere nient'altro che la condivisione di una medesima condizione, e quindi l’amicizia si pone come medicina per sopportare il terzo atto della vita. Se infatti il lato umoristico del film appare poco efficace, particolarmente intenso è invece il sottofondo malinconico e autunnale che pervade l’intera pellicola quando vira su temi più convincenti quali la dignità e il coraggio. Star incontrastata del film è Jane Fonda, perfetta immagine di una settantenne che dimostra almeno dieci anni in meno sullo schermo e che ritorna al cinema francese quarant’anni dopo l’esordio in Tout Va Bien di Jean-Luc Godard, nel 1972. La Barbarella di un tempo rimane ancora oggi il centro della scena, affiancata da interpreti di tutto rispetto, su cui spicca il giovane Brühl, stella di Goodbye Lenin e Bastardi senza gloria. Se la scorsa stagione cinematografica John Madden aveva diretto Marigold Hotel sul principio di “delocalizzazione della vecchiaia”, con E se vivessimo tutti insieme?, il cinema francese sembra rispondere a tono a quella riuscita pellicola inglese con una storia simile, ma che rinuncia all’ambientazione esotica proponendo un contesto molto più borghese e realistico. La storia risultante è di minor pretesa, meno avvincente ma decisamente più chic: un racconto che potrebbe essere un novello L’appartamento spagnolo, ma con protagonisti incanutiti.