Opera prima del fotografo Corrado Sassi, liberamente ispirato al racconto Il riflusso della marea di Robert Louis Stevenson, Waves è un thriller marino che trascina alla deriva coerenza psicologica e compattezza strutturale della storia. Senza voler scomodare Il coltello nell'acqua di Roman Polanski, il film eredita pregi e difetti di Io, L'altro, dramma terroristico di Mohsen Melliti con Raoul Bova uscito nel 2007: ingenuità di scrittura, repentina evoluzione dei fatti narrati e una buona direzione degli attori, dai profili tuttavia frammentari e deludenti. A differenziare le due pellicole è l'atteggiamento rarefatto, semidocumentaristico delle immagini di questo noir dalle tinte opache, come i pesci osservati dall'oblo di un'imbarcazione senza timone. Andrea (Francesco Di Leva), Riccardo (Andrea Vergoni) e Gabriele (Luca Marinelli) lasciano le coste italiane alla volta del Mediterraneo orientale su una barca a vela. Le giornate sembrano durare il doppio, il tempo si dilata e la stanchezza comincia a mostrare i primi segni di cedimento. Ogni frase formulata serve a riempire una solitudine che si fa via via più asfissiante laddove mancano i presupposti per un confronto sincero basato sulla fiducia reciproca. Il clima di pace apparente viene interrotto quando una donna (Kathrin Resetarits) si getta da uno Yacht per sfuggire a chissà quale destino. Accolta con riserva dall'equipaggio, attirerà immediatamente le simpatie di Gabriele e contemporaneamente le preoccupazioni degli altri. Il mistero si infittisce: perché allarmarsi tanto? Qual è il reale motivo del viaggio? Solo Andrea e Riccardo conoscono la verità. Le onde del titolo cullano fin troppo bene lo spettatore: come una storia d'avventura, raccontata a un bambino ai piedi del letto nel momento in cui smette di risultare interessante, così l'opera prima di Corrado Sassi non riesce a gestire gli ottimi input della sceneggiatura e i (piatti) cambi di prospettiva, portando presto gli occhi alla chiusura. Il ritmo è sonnacchioso, non c'è tensione, nemmeno nei momenti in cui avrebbe dovuto scuotere emotivamente e spingere la storia verso una risoluzione concisa e ammissibile. A Waves manca oltretutto uno sguardo creativo personale e riconoscibile, una visione fotografica attenta ai dettagli e alla sensibilità della luce, che disegni sui volti e sugli ambienti l'atmosfera di alienazione e abbandono percepita in superficie. Da uno studioso come Sassi, con un percorso formativo nelle arti figurative e nelle videoinstallazioni, abituato ad osservare e reinterpretare la realtà da una lente di ingrandimento, si tratta di una grave carenza che va a minare l'intera diegesi filmica. Dopo una prima parte di calma piatta, l'esclation avviene così repentinamente, senza sfumature, che le controverse decisioni dei personaggi non arrivano ad imporre una significativa scomposizione tra giusto e sbagliato, facce di una stessa medaglia caduta chissà in quale abisso di mare. Il naufragio non è stato evitato. E quel che è peggio, non ci sono superstiti.