Tre coppie, un solo desiderio: la casa dei sogni. Vilma (Ambra Angiolini) e Franco (Edoardo Leo), gente di periferia in attesa di una casa tutta loro, iniziano una difficile convivenza con Giulio (Antonello Fassari). Gaia (Myriam Catania) e Stefano (Giulio Forges Davanzati), indipendenti e moderni, innamorati da poco, scoprono la difficoltà del vivere insieme; Enzo (Nicolas Vaporidis) e Andrea (Primo Reggiani) provano ad avere una relazione sotto lo stesso tetto tra difficoltà economiche e una mamma (Giuliana De Sio) invadente. Tre episodi, tre coppie, uno stesso tema: la difficoltà di trovare una casa, più o meno ideale, da cui partire a costruire la propria famiglia. Di sfondo - ma lontanamente percettibili - i problemi sociali dell’Italia di oggi: la crisi economica, le coppie di fatto, l’omosessualità , l’insicurezza a lasciare il nido materno. In primo piano, invece, ben posizionati davanti alla macchina da presa, nel loro profilo migliore, un cast di stelle prese un po’ dal piccolo schermo un po’ dal cinema italiano di consumo: Ambra Angiolini, Miriam Catania, Nicolas Vaporidis, Primo Reggiani, insieme ai sempre tristemente sottovalutati Antonello Fassari e Giuliana De Sio, ormai, quasi del tutto, votati a produzioni televisive e cinematografiche di bassa lega. Piccoli film insomma, come Ci vediamo a casa, opera ultima di Maurizio Ponzi, regista dalla carriera surreale: passato da assistente per Pier Paolo Pasolini in Amore e rabbia (1966), proseguendo con una discreta produzione documentaristica e finendo a dirigere fiction televisive da boom di ascolti. Se a questo si aggiunge che dal cinema Ponzi era lontano ormai da quasi otto anni, il risultato è una pellicola commerciale, che si affida quasi interamente alla celebrità dei suoi attori, alla loro presenza scenica e ad operazioni pubblicitarie che vedono nella colonna sonora di Dolcenera un richiamo più o meno accattivante per il grande pubblico italiano. Per il resto Ci vediamo a casa è un pellicola inconsistente, che non riproduce minimamente la realtà della società attuale e non ne ha neanche la pretesa, ma solo utilizza temi notissimi – al cinema e non solo – come pretesto su cui costruire una sceneggiatura sfilacciata e ripetitiva. I luoghi comuni si sprecano anche laddove si tirano in ballo temi che meriterebbero invece maggiore rispetto - come la storia di Franco e Vilma, lui uscito dal carcere, lei precaria, o l'omosessualità di Enzo e Andrea - e che si risolvono invece in una fastidiosa sciorinata di clichè. Dialoghi imbarazzanti, ritmo inesistente, montaggio a dir poco casuale e una gestione pessima della formula ad episodi. Struttura che ormai sta alla commedia italiana come una costante.