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The Dandelions

24/11/2012 12:00

Vito Sugameli

Recensione Film,

The Dandelions

La Francia provocatrice e anticonformista, che non teme il silenzio in bianco e nero di The Artist o l'handicap di Quasi Amici...

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La Francia provocatrice e anticonformista, che non teme il silenzio in bianco e nero di The Artist o l'handicap di Quasi Amici. Carine Tardieu con The Dandelions prova a dire la sua, senza stigmatizzare: regista e autrice - con Raphaële Moussafir - della sceneggiatura, abbatte le convenzioni sociali secondo cui i bambini sono esseri innocenti, educati e incapaci di percepire la realtà come gli adulti. Al contrario, la regista crea attorno alle due giovanissime protagoniste un background maturo, fatto di sessualità e imprecazioni, di acquisizioni e perdite, mantenendo comunque un certo decoro linguistico e tematico.


Soffocata dalle pedanti attenzioni dei genitori (Agnès Jaoui e Denis Podalydès), Rachel (Juliette Gombert) a 9 anni è già una disadattata sociale. Le sedute psicologiche con Madame Trebla (Isabella Rossellini) non fanno che acuire il suo sentire sproporzionato a dispetto della sua età. Verrà sedato dall'incontro con l'esuberante Valérie (Anna Lemarchand), l'unica bambina che le affiderà il suo cuore ammalato: insieme riscopriranno la gioia della condivisione, dalle feste di compleanno alle interazioni piccanti dei loro professori osservate dal buco della serratura. Ma l'equilibrio di felicità verrà presto scosso da un evento imprevisto e deleterio per la salute di entrambe.


The Dandelions risplende di luce propria: i colori accesi e variopinti delle scenografie, le deliziose interpretazioni degli attori – incluse le due piccole protagoniste, qui al loro esordio – e la sceneggiatura puntuale, concorrono alla creazione di uno spaccato familiare spiritoso e arguto. Sotto l'aspetto da commedia per infanti, il film affronta la crisi di coppia e le prime cotte scolastiche (con un ralenty molto divertente che omaggia la duologia de Il tempo delle mele), fino a toccare temi più seri come la consapevolezza della morte e il suo contrario, nonché il cameratismo e la perdita di fiducia con uno spirito mai retorico o manualistico. Un diario personale che si rivolge soprattutto ai genitori conservatori di una conoscenza derivativa dei propri figli, assuefatti dalla droga televisiva e dai dogmi religiosi, tanto più distanti dalla realtà da renderli incapaci di comprendere i cambiamenti interiori della prole. Un film curato sia nei dialoghi che nell'aspetto visivo: Carine Tardieu deve tanto alla creatività visionaria di Jean-Pierre Jeunet e al suo modo di certificare la sostanza vitale di cui siamo composti attraverso il filtro della meraviglia. A partire dall'attenzione per le piccole cose, che determinano il carattere e la sensibilità dei personaggi rappresentati sullo schermo, responsabili in primo luogo della riuscita di una pellicola che, come in questo caso, intende equilibrare ammirazione per il gioco e appetito per le riflessioni. Tassello cinematografico che va a colmare un vuoto e che condivide con Amami se hai il coraggio e Il favoloso mondo di Amélie la stessa effervescente illibatezza rivolta alla conquista dei rapporti umani.


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