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Troppo amici

28/11/2012 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Troppo amici

Racconto familiare che ruota attorno ad Alain (Vincent Elbaz) e Nathalie (Isabelle Carré), circondati da parenti e amici tanto particolari quanto impegnativi...

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Racconto familiare che ruota attorno ad Alain (Vincent Elbaz) e Nathalie (Isabelle Carré), circondati da parenti e amici tanto particolari quanto impegnativi. Nonostante i conflitti già esistenti alle origini, sarà un’assidua frequentazione che porterà tutte le tensioni accumulate ad esplodere in liti, separazioni, e follie di ogni genere.


Sebbene i registi siano gli stessi di Quasi Amici e vi si ritrovi l’ormai noto volto di Omar Sy, l’ultima pellicola di Olivier Nakache ed Eric Toledano (che ultima non è, prodotta e uscita in patria nel 2009) non ha quasi nulla in comune con la precedente. Sfruttare un titolo tanto marpione quanto fuori luogo è l'ennesima furberia della distribuzione italiana che concede a Tellement proches di approdare nelle nostre sale solo dopo i 14.908.000 euro incassati in Italia da Quasi Amici, in un periodo - quello natalizio - che rischia di relegare il film ad una delle tante trame di baruffe familiare a lieto fine. Nakache e Toledano invece scrivono e dirigono una disamina spensierata ma impegnata del processo di affrancamento o di attaccamento al nido d’origine, una vicenda che indaga la realtà delle famiglie allargate, del passaggio dall’essere figli all’essere genitori e della trasmissione dei valori. L’intera vicenda si costruisce intorno ad Alain, un ottimo Vincent Elbaz, che, dopo un passato da viaggiatore e animatore turistico, fatica a rassegnarsi ad una vita di routine familiare, tra il padre ruspante e l'impegnativa famiglia della moglie Nathalie. Commedia compulsivamente recitata – forse a tratti persino nevrotica – Troppo amici focalizza la propria riuscita su un cast che attinge da tutti i generi del cinema francese contemporaneo: dal cinema d’autore, come Audrey Dana, e dalla più riuscita commedia come Joséphine de Meaux e Omar Sy.


I due registi francesi si confermano abili nel passare con agilità da momenti commoventi e di riflessione a balzi più squisitamente comici che si ispirano al cinema d’oltralpe ma di certo anche a quello italiano del secolo scorso, ribadendo come anche temi d’attualità complicati e intimi - primo fra tutti il rapporto tra l’individuo, la famiglia e la società - possano essere gestiti con leggerezza. E con un umorismo che a tratti si tinge di nero, ad assecondare una vocazione al cinico che consente ai due registi di svincolarsi dal rischio del ritratto stereotipato della famiglia borghese e dal déjà-vu di alcune gag. Ma in effetti di banale nel film di Nakache e Toledano c’è molto poco. Dopo il ritmo sostenuto della prima parte, il film modifica del tutto il proprio andamento passando a dischiudere e ad approfondire tematiche di maggiore spessore. Anche la macchina da presa va incontro a questo cambiamento di prospettiva e più si entra nella psicologia dei personaggi più le riprese passano da campi totali a controcampi, fino ad un uso volontario e ripetuto dello zoom, che rischia di diventare una cifra stilistica del duo.


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