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I tamburi delle stelle

03/12/2012 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

I tamburi delle stelle

Nei suoi scritti Fernando Pessoa immaginava un film che portasse la sua firma...

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Nei suoi scritti Fernando Pessoa immaginava un film che portasse la sua firma. Sognava di creare la ECCE Films per produrre pellicole che nei suoi appunti, compulsivi e fantasiosi quanto precisi e minuziosi, già esistevano. Attraverso le trascrizioni, quaderni, e materiali appartenuti al poeta, Julio Bressane tenta di sviscerarne la visione avanguardistica e originale sulla settima arte, concepita per generi, con una particolare e inaspettata predilezione per il thriller. O batuque dos astros è un omaggio, un'opera celebrativa dedicata allo scrittore portoghese attraverso la sua città natale, Lisbona.


Bressane, talento del cinema indipendente brasiliano con una spiccata abilità nel girare in tempi brevi pellicole originali e low cost, non è regista che si scoraggia davanti ad una sfida. Qui, l'ambizione era davvero grande, specie considerando che O batuque dos astros è un vero e proprio saggio di cinema e che dell'attività filmica di Pessoa si sapeva poco o nulla. Bressane riesce però con discreta soddisfazione a documentare lo sguardo del poeta sul cinema. Come in una raccolta di novelle, emerge l'intensa attività di sceneggiatore di Pessoa, in cui il complesso di personaggi creati - rappresentati dagli pseudonimi che lo stesso poeta usava, Alberto Caeiro, Riccardo Reis, Alvaro de Campos - sarebbero, soltanto in seguito, diventati protagonisti dei suoi film. Fra gli anni '20 e '30 del XX secolo, nel momento il cui il cinema giungeva alla sua prima codificazione, il molteplice, il vario, l'imprevedibile sono gli aspetti più interessanti che lo spirito innovatore portoghese - parlando di un ipotetico film - recuperava dalla propria poetica giungendo alla conclusione pionieristica che un'opera cinematografica sia composta da molte anime e più generi.


Se il saggio cinematografico appare piuttosto riuscito, è l'omaggio artistico ad risultare un'opera grezza. Tradito forse da una particolare affinità sentita con il poeta, Bressane lo dipinge come un vate, peccando di eccessivo trasporto e generando un ritratto che non solo stona - abituati all'immagine di un uomo introverso e riflessivo – ma che perde molto in istantaneità, guadagnando in retorica. Della pellicola non disturba tanto la regia grossolana, e neanche la minuziosa ricostruzione della Lisbona d'artista, quanto la celebrazione del suo protagonista attraverso uno sguardo superficiale in cui anche le parole migliori finiscono per dissolversi in superficie. Per riempire di immagini i versi, Bressane indugia fin troppo su alcune inquadrature celebrative - come la statua del poeta, presa a fulcro della camera del regista - o su superflui dettagli virtuosistici. In ogni buco semantico Bressane dimostra che fare un film su un grande personaggio di letteratura è impresa difficile, soprattutto se si parla di creazione di mondi cinematografici e considerando che il cinema, come del resto lo stesso Pessoa sapeva, è fatto non di sole parole e neanche di sole immagini.


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