Milano, agosto 2009. Quattro operai della INNSE, la storica Innocenti, salgono su un carroponte a 20 metri d’altezza all’interno degli stabilimenti, con lo scopo di fermare l’indiscriminato smantellamento dei macchinari e impedire la chiusura della fabbrica. Vi rimangono per otto giorni. La polizia circonda gli edifici, i media accorrono, le autorità si mobilitano: è l’inizio di una protesta che cambia per qualche giorno la storia della lotta operaia. Ma dietro c’è qualcosa di più di una contestazione: c’è una filosofia, la teorizzazione di una silenziosa guerra contemporanea. Sia che si pensi all’opera di filosofia politica di Machiavelli o al trattato di tecnica militare del generale cinese Sunzi, il titolo del documentario di Silvia Luzi e Luca Bellino – già autori del premiatissimo La minaccia - evoca immediatamente atmosfere che si discostano dal mero racconto di una lotta operaia. Suddiviso in quattro capitoli, attraverso il racconto ora commosso, ora combattivo, ora rabbioso, in ogni caso intensamente partecipato, degli operai protagonisti dell’azione di protesta, Dell’arte della guerra è un film che unisce alla perizia giornalistica la forma letteraria e artistica dell’opera cinematografica. ll documentario inizia nell’estate del 2009, quando quattro operai della INNSE di Milano si arrampicano su un carroponte degli stabilimenti Innocenti, per impedirne la chiusura. Il racconto della lotta operaia procede attraverso la presentazione del vasto materiale d'archivio, fatto di immagini televisive, stralci di trasmissioni radio, riprese in loco, ma si tramuta quasi immediatamente in un vero e proprio manuale di combattimento. E come tale rivela la sua struttura trattatistica: le quattro impietose sezioni hanno titoli equivalenti ai fondamentali della guerra, ossia Individuare il nemico, Formare un esercito, Difendere il territorio, Costruire una strategia. Pur mostrandosi, nella propria natura intrinsecamente giornalistica, come un’opera concepita giorno dopo giorno fuori dai cancelli INNSE di via Rubattino, Dell’arte della guerra rivela al tempo stesso l’ambizione dei suoi autori di tramutare l’attualità in linguaggio universale che codifichi il cambiamento delle modalità di contestazione. Se da un lato il film svela il tramonto di alcuni miti dello scorso secolo, in principio quello della lotta e della coscienza di classe, al tempo stesso ne sdogana altri mai sopiti come il sentimento di schiavitù del lavoratore o l’alienazione. Non è un documentario imparziale, non potrebbe esserlo senza entrare in contraddizione con il suo concetto di fondo, ossia che in uno scontro fra eserciti occorre schierarsi. I quattro operai combattenti sono presentati nella massima forma nobilitatrice possibile, seduti su troni di lamiera o su panchine logore, tra i muri della loro fabbrica o stagliati sul panorama industriale della Milano Rossa, con gli sguardi alti e fieri, come quelli di gloriosi guerrieri. E quello in cui senz’altro l’opera riesce grandiosamente è nel rendere il significato di una lotta che i media tradizionali faticano a trasmettere come ancora attuale. Ad essere al centro dell’attenzione di Luzi e Bellino non è tanto il gesto degli operai di salire sul carroponte quanto le osservazioni e le riflessioni compiute dai quattro lavoratori. La metafora militare è condotta per tutto il film non solo nei titoli dei diversi capitoli, ma soprattutto attraverso il lessico dei protagonisti e nel loro narrare la contestazione come una sorta di aggiornamento degli eventi sul fronte. Fino all’ultimo atto, in cui - tra il ricordo della lotta e alcune acute e amare parole sulla realtà della fabbrica, sul rapporto tra lavoratore e padrone, sul senso del lavoro, della ricchezza, della povertà , della dignità , su quello per cui vale la pena combattere - il film di Silvia Luzi e Luca Bellino si trasforma lentamente, e da Sunzi torna ad essere Machiavelli: da un saggio di guerriglia contemporanea ad un’opera di filosofia politica di rara lucidità e chiarezza.