Durante una gita, una classe di bambini di cinque anni si perde nel bosco dopo che la svampita maestra Sophie (Stéphanie Crayencour) perde i sensi mangiando frutti di bosco. Alla ricerca della strada di casa, alcuni di loro si imbattono in Tom le Cancre - "il somaro" - (Steve Le Roi), un adolescente orfano che vive solo tra gli alberi, in fuga dalle costrizioni degli adulti. Alla richiesta di aiuto dei bambini Tom stringe con loro un patto: sarà lui a ricondurli a casa sani e salvi dai genitori, ma solo dopo essere riuscito a far dimenticare loro tutto ciò che hanno imparato a scuola. Il somaro, il lupo, la fatina. Non c’è favola senza almeno uno di questi tre personaggi. E così è anche in Tom le Cancre, fiaba contemporanea che mette in discussione il sistema dell’educazione infantile, la scuola e il presupposto che i bambini abbiano bisogno di guide per crescere equilibrati. Il somarello, “le cancre”, è un Tom Sawyer politicamente scorretto che insegna ai suoi giovani allievi come dimenticare tutto quello che hanno imparato a scuola, dalla grammatica all’igiene personale; l’uomo-lupo è un misterioso abitante delle grotte dei boschi, ansioso di mangiare i bambini ma in realtà malinconico e romantico come solo pochi cattivi sanno essere; la fata è una bionda avvenente maestra che dopo aver mangiato bacche velenose nel bosco ha scordato tutto quello che sapeva. Alle origini della sceneggiatura di Tom le Cancre c’è un laboratorio condotto dal regista Manuel Pradal – interessi che vanno dall’arte alla pedagogia e diversi lungometraggi alle spalle di cui almeno due, Cantì e Marie della Baia degli Angeli, selezionati dai maggiori festival - con 15 bambini di 5 anni in un piccolo villaggio nel sud della Francia. Lo stile creativo, semplice e spontaneo – con la luminosa fotografia di Yorgos Arvanitis - ne rivela in ogni sequenza le origini “artigianali”. L’idea di fondo è vincente: una favola al rovescio, con un protagonista a metà tra un novello Peter Pan e un moderno Lucignolo, che non cresce ma che non è neanche più bambino, un lupo cattivo ma non troppo, una maestra bella come una fata che “strega” tutti quelli che incontra. Una parodia dei ruoli fissi delle favole, una provocatoria riflessione sull’insegnamento scolastico, una serie di liberatorie gag sull’abbattimento delle barriere – un po’ ipocrite - dell’educazione e del decoro insegnato dagli adulti ai più piccoli. Pradal si interroga, attraverso i piccoli ed espressivi attori, sui limiti della conoscenza scolastica immaginando una circostanza inverosimile in cui i bambini provvedono alla propria istruzione autonomamente, o meglio, con l’appoggio di un discutibile “maestro somaro”. Sfortunatamente però il regista si cimenta in un genere per lui nuovo – la narrativa per ragazzi – tanto difficile quanto scivoloso, finendo per comporre una storia di buone speranze ma di poco ritmo, con un finale incerto che non sa se rischiare il lieto fine o abbandonarsi al pessimismo, ribadire il mito del buon selvaggio o affermare il trionfo della civiltà dell’uomo “animale sociale”. Ma soprattutto, il torto di Tom le Cancre è di non saper essere favola fino in fondo, né di saper accostare ad una storia brillante un tono altrettanto vivace. Con il suo avanzare, la vicenda si fa sempre più fioca e, abbandonandosi ad un eccessivo parlare, ripiega su toni malinconici e stranianti, che contrastano con l’allegra e fantasiosa scenografia e che finiscono, inevitabilmente, per minare la fluidità della narrazione.